La crisi può essere una straordinaria occasione per abbassare le tasse e riformare lo stato sociale.
Per il piano anti-crisi italiano saranno stanziati 80 miliardi di euro, di cui oltre 40 da fondi europei. Secondo quanto trapela in queste ore, l'approccio verso cui sarebbe orientato il governo è tipicamente keynesiano: la maggior parte di questa somma verrebbe destinata a investimenti in infrastrutture, mentre solo una minima parte alla riduzione del carico fiscale che grava sulle imprese e sulle famiglie.
Peccato, però, che siamo in Italia, non negli Stati Uniti d'America di Roosevelt, e a causa delle lungaggini burocratiche prima che i lavori per un'opera pubblica siano avviati possono passare anche anni. Sul piano fiscale, le misure di cui si parla - un taglio dell'acconto Irpef-Ires di fine anno e un qualche alleggerimento dell'Irap - rischiano di rivelarsi impercettibili. Un pacchetto di stimolo così congegnato risulterebbe quindi inadeguato a sostenere la produzione e i consumi in un periodo di recessione.
Mentre un sollievo reale lo arrecherebbe la possibilità di pagare l'Iva non al momento dell'emissione della fattura, ma al momento dell'incasso, servirebbe una politica fiscale molto più coraggiosa.
Due interventi, soprattutto, potrebbero attenuare sia dal punto di vista economico che sociale il peso della recessione: la riduzione del costo del lavoro, tagliando il cuneo fiscale a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori; e l'abolizione della cassa integrazione, che ad oggi copre circa il 17% dei lavoratori (soprattutto della "grande industria", favorita com'è dai suoi stretti rapporti con la politica), sostituendola con un sistema di ammortizzatori universali, che aiuterebbero anche le piccole e medie imprese a ristrutturarsi, a patto che siano fondati sui principi del welfare to work e finanziati estendendo fino a 65 anni sia per gli uomini che per le donnne l'età di pensionamento.
2 comments:
dott. Punzi concordo con lei.
in un punto però nutro alcune perplessità, nello specifico dove lei invoca il taglio del cuneo fiscale e l'abolizione della cassa integrazione.
mi spiego meglio, non che consideri errate tali soluzioni, mi chiedo però come il nostro sitema di relazioni sindacali possa accettare una simile riforma nei tempi brevi che la situazione economica richiede.
pertanto, a livello di efficacia tale soluzione mi sembra paragonabile agli investimenti in infrastrutture.
raf
Egr. Dott. Punzi, anch'io concordo con lei per quanto esposto nel suo post.
La stragrande maggioranza delle risorse messe in campo, destinate ad interventi infrastrutturali secondo logiche Keynesiane, provengono dall'esterno (40 mld da fondi europei) o sono somme già stanziate (16 mld) per opere che devono essere solo sbloccate dal CIPE e poco hanno a che vedere con politiche fiscali tendenti a favorire l'aumento del reddito disponibile delle famiglie e di conseguenza un loro eventuale aumento della propensione al consumo, a testimonianza dei gravi problemi di finanza pubblica.
Lei poi invoca misure più coraggiose in campo fiscale e del "welfare state", come l'applicazione della promessa di far pagare l'IVA alle aziende al momento dell'incasso della fattura invece che alla sua emissione, la riduzione del cuneo fiscale, la riforma della cassa integrazione e dei termini di età di pensionamento.
Sono convinto che siano tutte misure positive ma vorrei sottoporre alla sua attenzione anche altri aspetti che mi tornano costantemente in mente.
Se oggi come oggi non appaiono possibili nette riduzioni del carico fiscale sotto forma di tagli alle aliquote un buon strumento per favorire l'aumento del reddito disponibile (differito è vero) delle famiglie potrebbe essere la revisione delle voci che rientrano negli oneri detraibili da parte del contribuente soggetto al 730. Sia attraverso un loro aumento, includendo spese attualmente non previste, che tramite un eventuale aumento della percentuale di detrazione, da quel 19% inferiore all'IVA, ad una quota superiore tale da incentivare una maggiore propensione al rifiuto del "nero" da parte del cittadino, con il doppio effetto di ridurre le tasse e aumentare la base imponibile di molte categorie attualmente ai limiti della legalità fiscale.
Nel campo degli ammortizzatori sociali non vedrei niente di strane se in cambio di sgravi IRAP le aziende e i lavoratori stessi potessero sottoscrivere fondi assicurativi che li garantissero economicamente in periodi di recessione economica. In parole povere il passaggio dagli ammortizzatori sociali come cassa integrazione, mobilità e fors'anche la disoccupazione ad oggi interamente a carico statale a forme assicurative private.
Mi scuso per il disturbo e la saluto cordialmente.
Fabrizio.
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