Ieri con una lettera al Corriere della Sera, e la sera prima a Porta a Porta, Angelino Alfano ha rilanciato sulla proposta presidenzialista. Oltre al doppio turno - sistema elettorale da sempre in cima alla lista dei desideri dei Ds prima e del Pd poi - ha messo sul tavolo un'altra pietanza per ingolosire gli avversari. Con l'ok all'elezione diretta del presidente della Repubblica, il Pdl sarebbe disponibile ad una nuova legge sul conflitto di interessi. Un vero e proprio baratto politico, ma stavolta "alto" nel metodo (perché alla luce del sole) e nei contenuti (l'architettura istituzionale). Ma la carta di regole più stringenti sul conflitto di interessi, per controbilanciare i maggiori poteri formali in capo ad un presidente eletto direttamente, suona anche come un messaggio implicito al Pd, in modo da sgombrare il campo da ogni alibi: Berlusconi non si candiderebbe al Colle, anche se ovviamente orgoglio e dignità politica gli impediscono di dare soddisfazione pubblica ai suoi avversari storici.
Alla luce della debàcle alle amministrative, e degli ultimi sondaggi, il Pdl ha davvero pochi margini di bluff. Alla mossa presidenzialista si può solo rimproverare di essere disperata e tardiva. Troppo per sperare di andare a buon fine. Soprattutto dopo il voto locale, infatti, il Pd sente di avere la strada spianata verso Palazzo Chigi con qualsiasi sistema elettorale, quindi non vede alcun interesse nel concedere all'avversario, oggi ridotto all'angolo, di condividere il merito di un risultato politico storico come sarebbe la riforma costituzionale in senso presidenzialista. E tra i due partiti chi in questo momento può permettersi di irrigidire le proprie posizioni, non percependo affatto come un dramma l'eventualità di rivotare con il Porcellum (anzi, forse essendone tentato), è il Pd, non certo il Pdl.
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