Grecia e Spagna allarmano i mercati e spread oltre 400 (ha toccato i 425 punti), ma ormai ci siamo assuefatti, non fa più notizia. Il fiscal compact non è ancora entrato in vigore e Monti in pieno italian style pensa già alle deroghe, mentre i partiti si preoccupano della legge elettorale e di Grillo. E' pacifico per tutti che la finestra delle riforme si è chiusa definitivamente con le amministrative e non rimane che chiedere un po' di soldi in Europa. Certo, per importanti investimenti. Come quelli con cui per mezzo secolo abbiamo cercato di risollevare il Mezzogiorno d'Italia.
Il governo spagnolo starebbe preparando una parziale nazionalizzazione di Bankia, il 45% massimo del capitale, mentre il premier greco incaricato, Tsipras, leader della sinistra comunista, prim'ancora di sapere se ha o no una maggioranza (probabilmente no) ha già fatto danni, spedendo una lettera al presidente dell'Ue Van Rompuy e al governatore della Bce Draghi in cui annuncia che gli «accordi presi dal precedente governo sull'austerity non sono più validi». Al che il ministro delle finanze tedesco Schaeuble non ha potuto che commentare: «Se la Grecia decide di uscire dall'euro, non possiamo costringerla». E se intendesse rinegoziare gli aiuti farebbe precipitare l'Eurozona in una «incertezza catastrofica». Insomma, proprio un bella torta di compleanno per l'Ue.
Intanto, continuano le mosse di posizionamento nel dibattito europeo su crescita e rigore alla luce dell'esito delle elezioni francesi. La cancelliera Merkel un giorno sì e l'altro pure fissa preventivamente i paletti ad Hollande: tutti i Paesi che hanno firmato il fiscal compact devono rispettarlo e «non esiste nessun conflitto tra crescita e misure di austerità». Insomma, non venite a dirmi che per rilanciare la crescita bisogna allentare il rigore.
Monti cerca di rafforzare il suo ruolo di mediatore. Da una parte rassicura la cancelliera tedesca, la quale «sa che non deve temere le proposte italiane» per il rilancio della crescita, perché non passeranno dallo «scardinamento» dei principi della disciplina di bilancio, ma birichino ipotizza che la stessa Merkel «da domenica è ancora più interessata a trovare vie di crescita che non scardinino quei principi». Come dire, concedi qualcosa se no ti toccano le richieste "scardinanti" di Hollande.
Dall'altra, il premier italiano propone alcune deroghe al fiscal compact, cioè di esentare una parte della spesa per gli investimenti dai vincoli di bilancio. Certo, chiedere di esentare tutta la spesa per investimenti sarebbe «troppo audace», ma concordare in sede europea «cosa ammettere come investimento positivo e cosa no», con «criteri di misurazione rigidi» - per esempio si potrebbero scontare dai vincoli «gli investimenti per la broad band e l'agenda digitale per i prossimi tre anni» - non sarebbe «niente di elusivo», l'impatto sarebbe «minimo». L'Italia ne sta parlando «in questi giorni» con i partner europei. «Se un Paese ha un rapporto debito/Pil al 120%, è questa l'unica cosa che conta o conta anche cosa ha fatto quel governo negli anni con i soldi che si è fatto prestare? Io - è il ragionamento del premier - sarei contento di vivere in un Paese che ha usato il debito per finanziare infrastrutture, piuttosto che diperdere quel denaro nel consumo pubblico».Ma Monti scarica sull'Ue anche la questione dei debiti della PA nei confronti delle imprese, chiedendo che anche queste spese vengano scontate dai vincoli di bilancio. Non si tratta in questo caso però di mero «consumo pubblico»?
Una risposta indiretta sia a Hollande che a Monti arriva da Schaeuble,
secondo cui «è sbagliato pensare che le politiche per la crescita
abbiano bisogno di soldi».
Dopo la meschina battuta di ieri il professore oggi ha cercato di rimediare e dai governi che dovevano «riflettere» sulle «conseguenze umane» della crisi che hanno provocato, si passa ad un fin troppo generoso «il governo precedente e i suoi predecessori hanno fatto significative riforme strutturali e noi le stiamo doverosamente intensificando».
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