A mente fredda, dati alla mano, è possibile farsi un'idea più ponderata di cosa è accaduto in queste elezioni amministrative. Partiamo dai dati. Su 26 comuni capoluogo, 7 sono assegnati al primo turno: 3 al centrosinistra (La Spezia, Pistoia, Brindisi), 3 al centrodestra (Gorizia, Lecce, Catanzaro) e 1 (Verona) alla Lega, anche se l'affermazione di Tosi è personale e la coalizione che lo sostiene è di centrodestra. E' un caso particolare, e per molti versi emblematico, su cui torneremo. Ballottaggio per gli altri 19 comuni capoluogo: solo in 11 di essi il Pdl riesce a portare i propri candidati al secondo turno; l'Udc accede al ballottaggio in 6 comuni, in 4 al posto del Pdl e in 2 al posto del centrosinistra. In due casi ad affrontare il centrosinistra non saranno né Pdl né Udc/Terzo polo, ma a Parma il movimento di Grillo e a Belluno un'aggregazione di liste civiche.
Il tracollo del Pdl è innegabile, aggravato da alcune scelte suicide come a Verona e a Palermo. In alcune città lo troviamo su percentuali scioccanti, ridotto ai minimi termini: a Verona passa dal 28% del 2007 al 5%; a Genova dal 29 al 9; a Parma dal 47 al 5; a Palermo dal 25 all'8. In altri comuni capoluogo invece tiene, con percentuali intorno al 20%, e riesce a portare i propri candidati ai ballottaggi. Evidentemente paga la corsa in solitaria - mentre i risultati modesti del Pd si confondono all'interno di ampie e variabili coalizioni di centrosinistra - e certamente l'appoggio al governo Monti. Ma direi che paga soprattutto il fallimento dell'esperienza di governo. I suoi elettori gli hanno messo in conto non solo l'ultima parentesi, dal 2008 al 2011, bensì tutti i 17 anni dell'era berlusconiana, durante i quali è stata a più riprese tradita la promessa di cambiamento, economico e istituzionale, la cosiddetta "rivoluzione liberale", su cui le coalizioni berlusconiane avevano raccolto i loro consensi.
Recuperare la credibilità sarà difficile, ma il Pdl ha di fronte a sé una sola strada: una solenne operazione verità e "mea culpa" con i propri elettori e facce nuove. Dovrà dimostrare con i fatti che al suo interno c'è piena condivisione sull'errore politico capitale di questi anni: l'aver ceduto ad una politica economica statalista, conservativa, immobilista, l'opposto dello spirito del 1994.
Ma né l'Udc, né il Terzo polo, che come tale non si è nemmeno presentato, sono riusciti a raccogliere i cocci del Pdl, i cui elettori in uscita si sono rifugiati nell'astensione (quasi uno su due). Lo ha riconosciuto lo stesso Casini. Ecco perché l'elettorato di centrodestra appare completamente disarticolato, terreno fertilissimo per una nuova offerta politica che quando si presenterà non solo non chiederà il permesso, ma nemmeno accetterà di farsi accompagnare dalle vecchie facce.
Disfatta anche per la Lega travolta dagli scandali. I suoi elettori in parte sono rimasti a casa in parte hanno scelto Grillo. Ma è esagerato parlare di «boom» del movimento di Grillo, che approfitta dell'astensionismo e avanza raccogliendo voti in uscita dalla Lega (infatti è al nord che va più forte) e dall'Idv. Tranne il caso particolarissimo di Parma (Comune travolto dalle inchieste e commissariato), dove sfiora il 20% e riesce a portare il suo candidato al ballottaggio, si attesta al 10% al centronord, mentre è trascurabile quando non del tutto inesistente al centrosud. Da notare che all'"exploit" ha sicuramente contribuito l'enfasi anti-tasse, anti-Equitalia, anti-Monti e anti-euro del comico genovese nei suoi tour. Ma nemmeno il M5S potrà evitare di affrontare il dilemma del modello partito, non si possono gestire tutti quei voti senza organizzazione. E in quel momento molti nodi verranno al pettine.
Se il centrodestra è disarticolato, il centrosinistra non ha affatto brillato, e al suo interno ancor meno il Pd. La coalizione supera il 50%, o ci va molto vicino, solo quando il candidato sindaco non è del Pd (Genova e Palermo), nelle rosse La Spezia, Piacenza, Lucca e Pistoia, o con l'aiuto dell'Udc e del Terzo polo (Isernia, Brindisi, Taranto). Per il resto, a fronte di un centrodestra disaggregato si attesta su percentuali tra il 30 e il 40%.
Alla luce di questi risultati, se Monti sperava che dopo il voto sarebbe ritornata una certa calma, be', dovrà ricredersi. La finestra per le riforme si è ormai chiusa, con un bilancio piuttosto modesto. I prossimi saranno mesi tormentati, fino alle politiche, con un Pdl nervoso, che non concederà più nulla al professore, e un Pd sempre più smanioso di afferrare il momento e non lasciarsi sfuggire Palazzo Chigi, nel timore che possa ripetersi la beffa del '93-'94.
2 comments:
Non fa una piega. Unico dettaglio: Piacenza e Lucca non sono di certo roccaforti rosse.
La prateria di Giannino?
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