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Monday, October 13, 2008

Meno tasse, non meno tassi

Le borse europee "rimbalzano" dopo il piano Ue, ma non credo che la tempesta sia già alle nostre spalle. Anzi, è probabile che dopo l'"euforia" di oggi domani i mercati ricomincino a perdere.

A bloccare i prestiti interbancari, e a determinare la stretta creditizia che rischia di abbattersi anche sull'economia reale aggravando la recessione, è la mancanza di fiducia. «Nessuno sembra in grado di capire quali carte gli altri hanno in mano, e quindi quale solidità abbiano gli attori del mercato creditizio», spiega Carlo Lottieri. Ritornare sulle vere cause della crisi non sarà mai tempo sprecato. Così ci torna Lottieri:
«L'affermarsi di quegli strumenti che oggi creano tanta opacità nel sistema credizio internazionale, però, non è stato soltanto il prodotto di innovazioni finanziarie. Questa marea di contratti che "smaterializzano" progressivamente il rapporto tra i beni reali e i titoli scambiati non esisterebbe, almeno non in tali dimensioni, se nei quasi vent'anni del regno di Alan Greenspan non si fosse conosciuta una mostruosa espansione monetaria. Adottando tassi di interesse artificiosamente bassi, la Fed ha causato quella crescita abnorme della quantità di moneta che è la vera causa della tragedia che stiamo vivendo... In poche parole, moltiplicando la massa dei dollari in circolazione gli americani sono vissuti al di sopra dei loro mezzi. In presenza di prestiti ad interessi reali negativi (ciò succede quando il tasso di prestito è inferiore all'inflazione), è fatale che vi sia una corsa ad indebitarsi... se gli americani sono pieni di debiti non è solo e in primo luogo per effetto di una cultura o di un costume (come spesso si dice), ma è invece pure il prodotto previsto e prevedibile di una politica monetaria sciagurata...»
Autorità pubbliche - le banche centrali - fissano il costo del denaro e possono commettere degli errori "politici", perché il prezzo di un bene così centrale nel sistema, come il denaro, ha una funzione importantissima:
«È il keynesismo finanziario di Greenspan che ha fissato un costo troppo basso del denaro e in tal modo ha favorito comportamenti irrazionali. In un'economia di mercato il prezzo, infatti, ha la funzione di selezionare i comportamenti, ma se è tenuto basso da una decisione politica questo filtro smette di operare. A prezzo zero la domanda tende all'infinito e le conseguenze poi non tardano a vedersi. Nel credito, un costo del denaro ragionevole fa sì che chieda denaro e l'ottenga soltanto chi ha un progetto in grado di remunerare l'investimento (o dispone di solide garanzie), e questo fa sì che il denaro si orienti dove può essere utilizzato al meglio».
Questo meccanismo virtuoso è del tutto saltato a causa la politica espansiva della Fed.

La crisi ci restituirà almeno il Berlusconi del 1994, come ipotizza Carlo Stagnaro? Difficile da dire. Per ora il premier non ha annunciato, ma ha solo accennato, seguendo il suo intuito, alla possibilità di ridurre le tasse. Ma non c'è nulla di concreto. Eppure, per tentare di evitare la recessione piuttosto che moltiplicare le garanzie pubbliche o inondare le economie di liquidità, rischiando di far pagare il conto della crisi ai cittadini sotto forma di inflazione, i governi potrebbero agire usando la leva fiscale per lasciare più risorse alle attività produttive, stimolando così la crescita.

Antonio Martino esorta Berlusconi a non ascoltare «i benpensanti, i prudenti, gli indecisi» e a dare «quella scossa fiscale di cui il nostro sistema produttivo da troppo tempo ha inderogabile bisogno».
«Dobbiamo andare in quella direzione con una profonda riforma fiscale e l'adozione di un'unica aliquota d'imposta sul reddito. Solo se faremo dell'Italia un ambiente favorevole agli investimenti ed alle attività produttive potremo sperare di contrastare la crisi produttiva che inevitabilmente seguirà l'attuale crisi finanziaria. Questo va fatto subito, prima che i problemi divengano gravi ed intrattabili. L'economia italiana ha bisogno di uno shock che la stimoli e la svegli, che faccia ripartire lo sviluppo prima dell'arrivo della recessione».
Carlo Stagnaro fissa i paletti entro i quali i tagli fiscali sarebbero efficaci: non dovranno avere fini redistributivi, dovranno essere semplici, generalizzati, consistenti.
«Tagliare le tasse non vuol dire limare qualche zero virgola per cento, ma, letteralmente, abbatterle. Una buona idea sarebbe ripartire dal "ganzissimo" progetto tremontiano delle due aliquote, 23 e 33 per cento. Ma qualunque schema può andar bene, purché, appunto, punti allo choc positivo sull'economia».

5 comments:

Anonymous said...

OK meno tasse, fantastico. Quindi abbiamo nuovamente un progetto grazie al quale puntualmente i liberisti fanno ciò che poi accusano i keynesiani di fare, cioè riempirci di debiti così come ha fatto Bush negli USA ?
Gmack

Anonymous said...

Per fortuna che tutto quanto ha detto e scritto Greenspan si può leggere. E non sarebbe male leggerlo.
I Lottieri li lascio a lei. In compagnia di tanti altri che sproloquiano a più non posso qui da noi, ma invariabilmente sono totalmente sconosciuti appena fuori dalla porta di casa. Tutta gente che peraltro Lei pare predilire particolarmente.

Mauriziosat said...

Greenspan era idolatrato sino a ieri.

diffido sempre di quelli che hanno subito da additare contro un colpevole , senza neppure avere la minima idea di quello che sta succedendo.
Soprattutto se nemmeno ha il coraggio di firmare le proprie parole.

Ora qualcuno a sinistra ha tirato fuori il nome di Greenspan.

Ed allora le pecore belano contro di lui.
Come se le responsabilità non fossero sempre personali .
A sinistra c'è sempre un facile untore da demonizzare.

JimMomo said...

Fatemi un favore, non provate neanche ad accennare che qui si sta demonizzando Greenspan. Però gli errori si commettono. O meglio, le scelte. Nel senso che sorreggere l'economia in modo artificioso per tanto tempo ha contribuito ad aggravare questa crisi. Sono scelte, con aspetti positivi e negativi.

Anonymous said...

Io credo che si dovrebbe capire, prima di parlare di errori, quale era l'alternativa a una politica monetaria espansiva, in un mondo che aveva una capacità di produzione enorme rispetto alla domanda, con un fenomeno in atto di globalizzazione (anzi limitiamoci a chiamiarla delocalizzazione che è meglio). Poi, diamo giudizi.