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Tuesday, October 28, 2008

Volantini sul gulag nordcoreano

Gli Stati Uniti hanno da poco cancellato la Corea del Nord dalla lista degli stati sponsor del terrorismo, ottenendo in cambio da Pyongyang vaghe promesse sulla possibilità di verificare l'effettivo disarmo nucleare, in base a un accordo che in questi ultimi giorni di mandato per l'amministrazione Bush passa per un successo diplomatico, ma che altro non è che un cedimento gravido di conseguenze negli sforzi contro la proliferazione nucleare.

Ieri la Corea del Nord ha minacciato «di ridurre in macerie» la Corea del Sud. «Le autorità fantoccio farebbero bene a tenere a mente che un nostro attacco preventivo ridurrà ogni cosa in macerie», hanno tuonato le forze armate nordcoreane. «E sarà una guerra giusta... per edificare su di esse uno stato indipendente e riunificato». Le minacce di Pyongyang giungono in reazione a un nuovo lancio, nei giorni scorsi, da parte di attivisti sudcoreani di oltre 100 mila volantini anti-regime trasportati oltre confine legati a dei palloncini. Una pratica che va avanti da anni. Evidentemente questi volantini, di plastica, che recano scritte con inchiostro resistente all'acqua, arrivano a destinazione, toccando i nervi scoperti del regime. Informano i nordcoreani della cattiva salute del loro "caro leader", incitandoli a rivoltarsi. Alcuni contengono anche riso e un biglietto da un dollaro, o da 10 yuan, che corrispondono allo stipendio medio di un mese in Corea del Nord.

Pyongyang ha intimato al governo di Seul di smettere di «disseminare volantini e diffondere menzogne». Ma l'attuale presidente sudcoreano, il conservatore Lee Myung-Bak, ha risposto con fermezza che i volantini non hanno nulla a che fare con il governo, e annunciando l'intenzione di legare i regolari aiuti diretti al Nord ai progressi nel disarmo nucleare.

Il precario stato di salute del dittatore nordcoreano Kim Jong-Il continua a tenere impegnate le intelligence di mezzo mondo. Colpito da un ictus in agosto, sarebbe ricoverato in ospedale ma ancora in grado di prendere decisioni. «Penso che l'intelligence di varie nazioni sia d'accordo nel ritenere che mentre le sue condizioni non sono molto buone, è improbabile che non sia in grado di prendere alcuna decisione, e quindi che non ci saranno altre mosse», ha riferito il premier giapponese, Taro Aso, in Parlamento, citando informazioni dei servizi segreti. Anche secondo il presidente sudcoreano, il "caro leader" detiene ancora il potere e non si intravedono cambiamenti da attribuire alle sue condizioni di salute.

Ma in un paese totalitario il momento della successione al potere è delicato e imperscrutabile dall'esterno. A Washington, così come a Seul, cresce la preoccupazione per una imminente crisi del regime. «Il mondo non dovrebbe temere il crollo della Corea del Nord», sostengono invece Nicholas Eberstadt e John R. Bolton: «La stabilità di una dittatura criminale e crudele, dotata di armi nucleari, è davvero qualcosa cui dobbiamo tenere al di sopra di ogni possibile alternativa?» Certo, la crisi del regime pone grandi sfide, soprattutto alla Corea del Sud e agli Usa. Innanzitutto, «l'incubo» che le armi atomiche finiscano nelle mani sbagliate e che l'esercito nordcoreano sia fuori controllo. Ma anche le conseguenze umanitarie ed economiche di un ipotetico collasso, uno «tsunami» di milioni di rifugiati e l'impatto socio-economico della riunificazione nel medio-lungo termine. Ma rimarrebbe una «preziosa opportunità per riunificare la penisola coreana sotto un unico governo democratico, o almeno per avvicinarsi a questo obiettivo», ricordano Eberstadt e Bolton.

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