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Tuesday, January 12, 2010

Un problema di cultura giuridica

Condivisibile al 100% l'editoriale di Roberto Perotti, oggi sul Sole 24 Ore, sia laddove ricorda che rispetto agli altri Paesi europei la giustizia italiana «non è sottofinanziata», sia laddove porta un attacco al cuore della cultura giuridica italiana, individuando in essa le «due cause profonde e nascoste della lentezza della giustizia»: la visione distorta dell'appellabilità delle sentenze come migliore garanzia contro la condanna di innocenti e l'impunibilità dei colpevoli; e la formazione delle prove nel processo penale - e non prima, come avviene invece nei Paesi di "common law" - coerente con la funzione idealistica di "accertamento della verità" che si attribuisce al processo qui da noi.

Tuttavia, sull'obbligatorietà dell'azione penale una considerazione in più andrebbe fatta, sulla quale invece Perotti sorvola. Se è vero infatti che abolire l'obbligatorietà dell'azione penale probabilmente non avrebbe alcun effetto di per sé sulla durata dei processi, il fatto che l'azione penale, come giustamente osserva Perotti, «è già di fatto discrezionale», pone un problema di altra natura, ma che andrebbe affrontato e risolto. Se l'azione penale già non è più obbligatoria, ma è di fatto discrezionale, vuol dire che ogni giorno nelle procure si persegue una qualche politica giudiziaria. Chi sono i soggetti di questa politica giudiziaria? I singoli magistrati? Il procuratore capo? O tutti i procuratori collegialmente? E in base a quale legittimità agiscono? Non è un problema di poco conto. Per questo occorre a mio avviso abolire l'ipocrisia dell'obbligatorietà dell'azione penale e individuare nuovi limiti e responsabilità nell'esercizio dell'azione penale.

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