Un anno fa il presidente Obama entrava ufficialmente in carica ed il destino ha voluto che lo scoccare di un anno esatto di presidenza coincidesse con l'elezione di un repubblicano, Scott Brown, al seggio senatoriale lasciato libero dalla morte di Ted Kennedy. Una vittoria dal forte valore simbolico ma anche politico. Simbolico perché quel seggio era stato di Ted Kennedy per 47 anni ininterrotti dal 1962 (e della famiglia Kennedy per 57 anni, dal 1952), e perché il Massachusetts è uno degli stati più di sinistra d'America. L'ultima volta che ha eletto un repubblicano al Senato è stato nel 1972. Politico, perché con l'elezione di Brown ora i repubblicani possono contare su 41 seggi al Senato e quindi ai democratici sfugge quella maggioranza di 60 senatori che per effetto dei regolamenti mette al riparo dall'ostruzionismo dell'opposizione.
Ma a parte l'incauta apparizione di Obama a Boston due giorni prima del voto per sostenere la candidata sconfitta, si tratta del più classico dei campanelli d'allarme per il presidente e il suo partito. Perdere inaspettatamente in uno dei propri feudi più inespugnabili è un segnale inequivocabile a meno di un anno dalle elezioni di medio termine. Ancor di più se si considera che Brown ha focalizzato la sua campagna sulla promessa di essere proprio quel 41esimo senatore che può opporsi alla "ObamaCare". E il paradosso è che in Massachusetts vige un prototipo della riforma Obama approvato nel 2006. I primi in America ad avere avuto quel tipo di sistema sanitario sono stati anche i primi a pronunciarsi contro la sua estensione a livello nazionale.
E' crisi per Obama? Troppo presto per dirlo ma certamente la fiducia che gli americani hanno concesso a Obama, principalmente per la forte promessa di cambiamento e per i tratti altamente simbolici ed evocativi nella sua carta d'identità, non sono disposti a concederla al suo partito, che rischia a novembre prossimo di andare incontro ad una sonora sconfitta. E' comunque tempo di bilanci per Obama ad un anno dal suo ingresso alla Casa Bianca. Sul fronte interno l'impressione è che la crisi stia facendo il suo corso e che il suo interventismo finora abbia prodotto solo nuove spese e ulteriore deficit. Sulla riforma sanitaria va in scena il solito psicodramma degli americani. Il sogno di un sistema sanitario universale esercita una grande attrazione ben oltre i confini di consenso del partito democratico. Per questo prima delle elezioni presidenziali sembra sempre che quasi tutti gli americani vogliano una riforma sanitaria che garantisca loro una copertura universale; quando si accorgono, dopo le elezioni, quanto costa, e come procede il Congresso, quella maggioranza nel Paese si rompe.
Per quanto riguarda la politica estera, l'unica decisione giusta che ha preso è quella di mandare nuove truppe in Afghanistan e di avallare la strategia di contro-insurrezione del generale McChrystal. Solo che ci ha messo quasi quattro mesi di troppo. Come prevedibile, l'apertura all'Iran non sta funzionando e l'ultimatum implicito del 31 dicembre è trascorso da 20 giorni senza cambiamenti sensibili nell'approccio Usa. Il dibattito su nuove sanzioni con interlocutori difficili come Mosca e Pechino non ci pare nemmeno partito. La porta è ancora aperta, la mano è ancora tesa, al prezzo del mancato appoggio al movimento di opposizione iraniano e con grande rischio di indebolire la credibilità della deterrenza Usa agli occhi degli iraniani.
A prescindere dai diritti umani, che da anni nei rapporti con la Cina sono stati messi in secondo piano, al di là della pur importante retorica ufficiale, l'impressione è che l'amministrazione Obama stia sopravvalutando Pechino (equivocandone intenzioni e obiettivi di lungo termine) come secondo pilastro di una governance globale il cui vertice sia ristretto a due sole superpotenze, e mettendo troppo presto da parte i suoi alleati europei e nel sudest asiatico. Ricordiamo inoltre la sbandata iniziale, poi parzialmente corretta, sulla crisi in Honduras, ma a parte questo non ci pare che gli Stati Uniti abbiano recuperato il terreno perso in America Latina e in Africa. Se l'ondata rossa e antiamericana nel "cortile davanti casa" sembra essersi arrestata lo devono a Micheletti e a Pinera in Cile. In generale, si può dire che tutte le aperture e disponibilità di Obama ad avversari o a nemici dichiarati dell'America non abbiano finora prodotto risultati di rilievo.
Un anno è troppo poco? Può darsi. Siamo qui. Ma se le difficoltà e le ostilità con le quali gli Usa si sono scontrati negli ultimi anni in più parti del mondo non fossero dipese da un loro atteggiamento troppo aggressivo e "imperialistico", e al contrario questo si fosse reso necessario per rispondere alle sfide?
4 comments:
Sull'Afghanistan, le cose sono un po' più complesse. Obama ha sì concesso 30.000 soldati supplementari, ma tutto lascia supporre che il suo impegno a combattere quella che in campagna elettorale considerava la "guerra giusta" sia puramente di facciata, e che abbia tutte le intenzioni di sganciarsi dalla guerra il prima possibile. Infatti, ha posto un termine, il luglio 2011, all'impiego delle truppe supplementari, dopodiché cominceranno a tornare a casa seguite dal resto del contingente. Questa scadenza è come una pietra tombale sulle possibilità di una vittoria americana, perché mettere una scadenza all'impiego di truppe è esattamente la cosa che un comandante in capo non dovrebbe MAI fare: permette al nemico di elaborare una strategia conoscendo in anticipo le tue mosse, e scoraggia ogni eventuale intenzione da parte degli afgani di schierarsi dalla parte degli USA e della NATO (se nel 2011 gli americani partono e i talebani restano, non è difficile capire qual è la scelta giusta da fare per arrivare vivi al 2012).
state a cantar vittoria troppo presto.
fatevene una ragione, Obama dovrete sopportarlo per altri 7 anni. a meno che non vogliate usare il metodo micheletti, ovvero un sanguinoso colpo di stato.
voi "liberali".
JL
Il termine del 2011 non è così perentorio come i giornali italiani hanno riportato.
ciao
Sono d'accordo con quello che dice Ernesto,ma penso che Obama stia seguendo la stessa strada di Nixon nel Vietnam.
Senza contare che dato l'impopolarità che c'è in America sulla guerra in Afghanistan,se vuole essere rieletto difficilmente Obama potrà tenerle a lungo.
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