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Friday, March 18, 2011

Meglio tardi che mai, ma basterà?

UPDATE ORE 15,43:
Finalmente il governo s'è desto. Il ministro La Russa ha riferito alle Camere che verrà chiesta «l'autorizzazione» del Parlamento per «aderire alla coalizione di volenterosi» cui spetterà far rispettare la risoluzione Onu sulla Libia. Non solo le basi, pare di capire, ma anche «uomini e mezzi», una partecipazione «attiva» alle operazioni. Sarebbe stato paradossale che mancassimo solo noi ad una missione a cui manca poco che partecipi pure Trinidad e Tobago. Dignità nazionale non è solo sventolare una bandierina e cantare l'inno nelle ricorrenze.
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UPDATE ore 13,46:
L'insidia, la crepa nascosta nel testo della risoluzione era la richiesta di un «immediato cessate-il-fuoco», e puntualmente - ne ero certo, l'avevo scritto stamattina - Gheddafi ha afferrato l'occasione e dichiarato un presunto cessate-il-fuoco in linea con le richieste dell'Onu. Certo, tutto da verificare, ma quanto basta per guadagnare tempo e almeno provare a dividere la comunità internazionale.
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Ormai avevamo perso ogni speranza, ma con colpevole ritardo, addebitabile essenzialmente alle incertezze della Casa Bianca, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato a maggioranza l'intervento militare per fermare Gheddafi. Non solo una no-fly zone, ormai superata dagli eventi sul campo. Il richiamo al capitolo VII della Carta dell'Onu legittima «ogni mezzo necessario» per «proteggere i civili», «per il mantenimento della pace e della sicurezza», con l'unica espressa limitazione di «non inviare forze di occupazione», dunque truppe di terra. Probabilmente lo stesso Gheddafi con la sua protervia e le sue minacce, non solo contro gli insorti asserragliati a Bengasi, ma persino contro il traffico aereo e marittimo nel Mediterraneo, ha impresso un'accelerazione al negoziato che si stava svolgendo al Palazzo di vetro. Ma potrebbe comunque essere troppo tardi. E un'altra insidia si nasconde nel testo della risoluzione: la richiesta di un «immediato cessate-il-fuoco» offre al dittatore libico ancora dei margini per guadagnare tempo, ritardare l'intervento e dividere la comunità internazionale. Se conosciamo bene Gheddafi, giocherà eccome quest'ultima carta che l'Onu gli offre.

Al di là di quanto recita la risoluzione dell'Onu, è ovvio che l'obiettivo vero dell'operazione per gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali - esattamente come per il Kosovo, l'Afghanistan e l'Iraq - è il regime change, ossia cacciare Gheddafi. Il problema è che il tipo di intervento militare autorizzato dall'Onu potrebbe salvare ciò che resta degli insorti, ma a questo punto potrebbe non bastare a ottenere l'effetto di far cadere il raìs. E ciò riprodurrebbe una situazione di stallo che potrebbe richiedere ulteriori interventi sui quali sarebbe ancor più complicato ottenere un mandato internazionale. Avesse agito una settimana fa, probabilmente oggi staremmo commentando il capolavoro di Obama.

Del tempo prezioso (una settimana, a voler essere comprensivi) si è perso invece principalmente a causa delle incertezze della Casa Bianca, non certo aiutata dalle resistenze del Pentagono. Alla fine dev'essere stata Hillary Clinton a risvegliare Obama dal suo torpore a forza di sberle. Il decisivo via libera della Lega araba infatti è di sabato scorso e come avevo puntualmente previsto una settimana fa, è quel passaggio ad aver ammorbidito la posizione di Mosca, e quindi di Pechino. Dunque, se la risoluzione arriva solo una settimana dopo, ciò non è dipeso tanto dalle resistenze russe e cinesi, ma dalle incertezze occidentali, americane in primis.

Alla fine, ma proprio all'ultimo momento utile, quando è apparso evidente che c'era il rischio di giocarsi anche l'ultima briciola di credibilità, persino la faccia (e non è detto che non sia comunque troppo tardi), a Washington sono scesi nelle trincee per difendere quel che resta dell'influenza americana, cui la sopravvivenza politica di Gheddafi recherebbe un colpo mortale. Se restasse al potere dopo che il presidente Usa gli ha intimato di andarsene, ha scritto il Wall Street Journal, «il colpo inferto all'influenza americana e all'ordine mondiale sarebbe enorme».

La situazione all'Onu si è sbloccata quando gli americani hanno deciso che si dovesse sbloccare. Allora perché tutto questo tempo? Perché - nonostante la condizione multilateralista fosse stata soddisfatta dal via libera della Lega araba, che ha sbloccato anche Mosca? Perché il problema di Obama va oltre la pericolosa ideologia multilateralista. Anzi, è alla radice di quel pregiudizio. Obama è grandioso nel padroneggiare le parole e nel creare aspettative anche eccessive, quanto inesperto e incerto sul da farsi, perché privo di una visione politica, e soprattutto culturalmente impreparato perché è lui il primo, nonostante ne sia il leader, a nutrire forti dubbi circa il ruolo positivo dell'America nel mondo.

E l'Italia? Probabilmente non si aspettava che arrivasse il mandato dell'Onu, si credeva scampato il pericolo di dover dar seguito - tra gli imbarazzi - alle decisioni degli organismi internazionali. Ancora una volta la nostra diplomazia si è fatta cogliere di sorpresa. Fin dall'inizio ho criticato la posizione del nostro governo nel modo più netto. Pochi giorni fa, quando l'ipotesi di un intervento appariva ormai tramontata, mi ero rassegnato ad ammettere che la nostra posizione "furbetta" avrebbe potuto rivelarsi una scommessa vinta sul non-intervento. Adesso però le cose cambiano. Ci accoderemo, in ossequio alla legalità internazionale e agli impegni con le organizzazioni di cui facciamo parte, ma da comprimari, quando potevamo e dovevamo giocare un ruolo da protagonisti.

Il mandato Onu c'è e l'Italia «farà la sua parte», ma è chiaro che nonostante i 150 anni appena compiuti rimane la solita Italietta. La concessione delle basi aeree è il minimo sindacale della decenza, mentre sarebbe auspicabile una partecipazione più attiva alle operazioni. E dopo che Tripoli ha intimato all'Italia di «restarne fuori» è anche una questione di dignità nazionale. Una dignità che non si dimostra solo sventolando una bandierina e cantando l'inno nelle ricorrenze.

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