Come si fa a non rimpiangere Bush e Blair?
Delle ragioni che rendono per l'Italia obbligatorio partecipare attivamente all'intervento militare in Libia, e che anzi avrebbero suggerito sin dall'inizio un ruolo da protagonista del nostro governo in quel senso, ho già scritto in questo post. Ma quel che stupisce in queste ore, persino da parte statunitense, è la confusione su aspetti cruciali della missione, che potrebbe seriamente compromettere la sua riuscita.
Il rischio di insuccesso c'è innanzitutto perché è tardiva, a causa delle incertezze occidentali (e in primis americane) più che per il veto russo, di fatto superato due sabati fa con il via libera della Lega araba. All'inizio, durante l'avanzata dei ribelli, una no-fly zone e alcuni raid mirati avrebbero potuto assestare l'ultima spallata a Gheddafi. Oggi è tutto molto più problematico: salvare gli insorti e i civili dalla controffensiva del raìs non significa automaticamente farlo cadere, quindi si rischia uno stallo della situazione.
Registriamo nel frattempo la relativa facilità con cui sembra stabilita già in queste ore la no-fly zone sulla Libia. Le forze della coalizione hanno ampiamente «neutralizzato» le difese aeree libiche ed evitato «in extremis» un massacro a Bengasi», ha riferito il primo ministro britannico Cameron alla Camera dei Comuni; «abbiamo dedicato le prime 24 ore alle operazioni per stabilire la no-fly zone e stiamo passando adesso alla fase di pattugliamento del cielo libico», ha reso noto poco fa un portavoce del Pentagono. Solo 24 ore? Ma non era lo stesso Pentagono ad avvertire che predisporre una no-fly zone sarebbe stata un'operazione complessa e pericolosa che richiedeva studi e contro-studi, riflessioni su riflessioni?
Ma soprattutto, ciò che allarma - anche il Wall Street Journal, favorevole all'intervento - è la confusione che a tre giorni dal via alle operazioni ancora si registra riguardo la leadership politica, il comando operativo, le limitazioni e gli obiettivi finali della missione.
Obama ha spiegato che gli Usa «partecipano» a una coalizione «che non guidano». Sarebbe una situazione inedita e il WSJ ha rammentato ad Obama che la Costituzione Usa pone il presidente americano al comando delle forze armate, né Sarkozy né l'emiro del Qatar. Gli americani non la prenderebbero bene se venisse fuori che c'è qualcun altro al comando delle loro forze aero-navali che operano in Libia. Ma quindi chi guida la missione? Per ora nessuno, pare di capire. In queste prime fasi la coalizione ha agito in ordine sparso, con un coordinamento random. E' sbalorditivo come gli Stati Uniti non abbiano preventivamente ottenuto da Parigi l'impegno ad accettare un comando Nato una volta concesso loro di sparare il primo colpo. Pare che qualcosa si stia muovendo adesso. Il ministro degli Esteri francese ha aperto ad un «sostegno» Nato; Cameron ha espresso la volontà che «col tempo il comando e il controllo dell'operazione passi alla Nato»; la Norvegia ha sospeso la sua partecipazione finché non sarà chiarita la questione del comando; e finalmente, dopo essere entrati a pieno titolo nella coalizione, anche dall'Italia arriva un colpo d'ala per arginare il protagonismo francese: se la missione non passerà sotto comando Nato, avverte Frattini, l'Italia riconsidererà la sua posizione sull'uso delle basi. I francesi replicano e rischia di finire a pesci in faccia tra Roma e Parigi.
Speriamo che qualcuno a Washington sia in ascolto, ma pare che anche lì qualcosa nella catena di comando non funzioni. Veniamo infatti alla leadership politica e agli obiettivi finali della missione. Nella risoluzione dell'Onu che autorizza gli attacchi non c'è scritto che l'obiettivo è la caduta di Gheddafi. Eppure, tutti sanno che è proprio quello l'obiettivo ultimo e non potrebbe essere altrimenti. Venerdì scorso il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, non ha nascosto che oltre a fermare le violenze del Colonnello sui civili il secondo esito che si vuole provocare, sia pure indirettamente, è la fine del suo regime. Eppure, la Clinton è stata corretta venerdì stesso, poi sabato, poi ancora oggi, da Obama, il quale ha chiarito e fatto ribadire dai suoi portavoce che «l'azione non mira a mutamenti di regime» in Libia (non sia mai che qualcuno dovesse confonderlo con Bush...). Ora, o il presidente americano ci crede stupidi, o si è bevuto il cervello. Perché una missione del genere che non si ponesse come obiettivo ultimo la caduta di Gheddafi sarebbe da irresponsabili. Un autentico salto nel buio.
Intanto, anche al Cremlino si registra qualche scossone negli equilibri del potere. Medvedev smentisce Putin. L'ex presidente aveva bollato la risoluzione 1973 dell'Onu come un «appello alle crociate». «Inaccettabile» per Medvedev, che ha invece definito «non sbagliata» la risoluzione.
1 comment:
Ha ragione Ostellino. In Libia c'era una guerra civile tra avverse tribù. Forse sobillate da agenti francesi. E non un popolo unito per la democrazia. Non è la Tunisia e neppure l'Egitto.
Perchè si interviene in Libia e non altrove? Sarà sciocco pensarlo ma lì c'è un oceano di petrolio e tutti, Francesi in testa, vogliono scalzare l'Italia da quell'accesso.
Non credo più all'ideologia dell'esportazione della democrazia con le armi.
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