Una falsa neutralità che viene ogni giorno di più contraddetta nei fatti, un intervento definito «umanitario» che sta sconfinando in una guerra vera e propria e se non lo fa, rischia di essere vano. Capi di governo, ministri degli Esteri, e una stampa addomesticata, quasi distratta (ben diversa da quella che inseguiva con il forcone Bush e Blair, riportando avidamente la conta dei morti) continuano a parlare e a scrivere dell'intervento occidentale in Libia con un'ipocrisia giunta ormai a livelli insopportabili di disgusto. E tutto questo per che cosa? Per negare la scelta eminentemente politica di favorire un regime change in Libia, quando è divenuto palese che sono i libici a chiederlo; per poter rivendicare di aver agito in modo «multilaterale», in ossequio al mandato ricevuto dalle Nazioni Unite.
E allora ecco che le bombe diventano «umanitarie», non colpiscono i civili (ma di fatto neanche le forze di Gheddafi sufficientemente); che si agisce nel rispetto della risoluzione dell'Onu, mentre in realtà né più né meno di quanto si fece nei confronti dell'Iraq di Saddam; si ripete ossessivamente che ci si limita a proteggere i civili, mentre in realtà si fornisce un'incoerente e improvvisata copertura aerea ai ribelli, si mandano armi e consiglieri militari ad una delle due parti in conflitto. Non curandosi del fatto che per far sembrare tutto nei limiti si sta rendendo inefficace l'intervento, persino la mera protezione dei civili: i bombardamenti occidentali - tardivi e troppo "umanitari" - non faranno cadere Gheddafi ma non stanno neanche evitando che Misurata possa trasformarsi in una nuova Sarajevo. E alla fine la beffa è che non si riescono nemmeno a salvare le apparenze. In sostanza, un'ipocrisia, che porta con sé un'inefficacia militare sul campo, dettata dall'interesse meramente politico dei leader coinvolti a non apparire in patria come Bush e Blair, a non riabilitarne con le loro azioni le controverse scelte.
Be', se questa è la preoccupazione, possono dormire sonni tranquilli. Ben altra tempra e ben altra visione, ben altro coraggio politico avevano Bush e Blair. Pur con tutti i loro errori, dopo neanche un mese dall'inizio della guerra Saddam era caduto. Certo, hanno sottovalutato ciò che sarebbe avvenuto dopo, ma non si sono fatti prendere per il naso dal dittatore ed è stata una guerra di liberazione voluta e rivendicata, senza attribuire pelosamente all'Onu una moralità superiore, che è lungi dall'appartenergli, a scapito dell'efficacia dell'azione.
Sono stato un interventista della prima, anzi primissima ora, quando forse la no-fly zone e alcuni bombardamenti ben mirati sarebbero bastati a far cadere Gheddafi. Ma si sarebbe dovuto agire subito, senza l'Onu, in modo «unilaterale». Quasi una bestemmia per alcuni. E' come se il "diplomaticamente corretto", e non la giustezza e l'efficacia, sia il principale parametro di giudizio di una decisione e di un'azione politica. Per quanto tutti si sforzino, non è e non sarà mai così e le contraddizioni stanno venendo a galla. L'unica differenza con l'Iraq è l'acquiescenza dei media, ma anche in Libia una risoluzione dell'Onu volutamente e inevitabilmente ambigua viene utilizzata per giustificare un intervento militare il cui scopo - taciuto ma manifesto - è il regime change. Con l'aggravante però che quest'ultimo sta fallendo, rischia di fallire, sotto il peso delle ipocrisie, o di costare molto di più.
L'America di Obama spicca per l'assenza di leadership, si è sfilata ed è venuto meno circa il 75% della potenza di fuoco alleata, quindi dell'unica pressione che Gheddafi mostra di comprendere, quella della forza. L'Europa si conferma un nano politico e militare. La notizia dell'invio - adesso ufficiale - di consiglieri militari ad aiutare i ribelli induce a pensare ad una escalation. E ciò che era evitabile se si fosse agito subito - un intervento di terra - sembra sempre più inevitabile se non si vuole andare incontro ad una bruciante sconfitta e ad una vera e propria umiliazione. Adesso anche chi appoggiò la guerra irachena, pur di criticare questa insinua il paragone con il Vietnam. E' una tentazione cui bisogna sfuggire, per non cadere nella stessa strumentalità dei "pacifinti" di allora.
Per quanto mi spaventi e mi addolori, il pensiero che al cospetto dei leader che abbiamo in sorte Gheddafi sia un gigante - politico e militare - si rafforza, fin quasi all'ammirazione. Questo però non mi impedisce di pregare per una sua rapida sconfitta e di dire basta ai paragoni col Vietnam, che suonano come una iettatura.
1 comment:
Non è una novità ciò che dici,
senza dubbio i tiranni e i dittatori macellai sono sempre stati persone molto più ammirevoli dei piccoli polticanti delle democrazie, basta ricordarsi l'aula sorda e grigia tanto schifata dai fascisti.
Ma questo è solo una atteggiamento che non considera i costi e i benefici delle possibili alternative.
I piccolo borghesi mediocri e pasticcioni un po megalomani e probabilmente ipocriti come Sarkò sono frutto della democrazia e possono essere spazzati via dal loro elettorato, i Grandi Timonieri e i prsonaggi come Gheddafi NO!
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