L'ipotesi di voto anticipato in autunno riflette il nervosismo e la debolezza di tutti gli attori in campo. Innanzitutto del premier Mario Monti, politicamente indebolito dall'evidenza che la sua cura non sembra sortire gli effetti sperati. Sono trascorsi nove mesi e in termini di rischio default, o di necessità di chiedere un salatissimo salvataggio, siamo più o meno laddove eravamo nel dicembre scorso, con l'aggravante di avere nel frattempo sparato/sprecato parecchie cartucce. Il premier appare deluso, sembra non sapere più cosa fare. E anche se avesse in mente altri possibili "shock", non avrebbe probabilmente la forza di imporli ai partiti, con l'avvicinarsi delle elezioni sempre più attenti al loro consenso. Se dopo un anno non siamo riusciti a "sganciare" il nostro destino da quello di Grecia e Spagna, qualsiasi cosa si possa rimproverare a Bruxelles e a Berlino, è però innegabile che molto è da imputare a noi stessi: alle resistenze al cambiamento da parte della società italiana, o meglio di quei numerosi «percettori di rendita da spesa pubblica», i cosiddetti "topi nel formaggio", ma anche agli errori del governo tecnico, che non ha svolto nella loro interezza, o ha mal interpretato, i "compiti a casa".
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Gli altri attori, i partiti che sostengono il governo Monti, temono di arrivare praticamente esanimi all'appuntamento elettorale del 2013 e il loro unico scopo è preservare anche nella prossima legislatura le loro quote di potere. Si fa sempre più salato il conto del sostegno alle misure impopolari del governo Monti, sacrifici tanto più invisi all'opinione pubblica quanto più risulteranno inefficaci. (...) La loro unica preoccupazione, quindi, è trovare l'accordo per una legge elettorale che li tuteli il più possibile dall'exploit di eventuali nuove offerte politiche, capace di "blindare" la propria consistenza numerica in Parlamento, e qualcuno potrebbe essere tentato dal voto anticipato prima che i mesi che ci separano dalla scadenza naturale della legislatura provochino un'ulteriore erosione dei consensi e consentano il lancio di nuovi competitor.
Insomma, Monti avrà anche osato laddove finora nessun governo aveva osato spingersi nel tentativo di raddrizzare la pianta storta, ma data la gravità della crisi il suo operato non può essere ritenuto sufficiente. Tuttavia, le alternative che potrebbero realisticamente scaturire dal voto del 2013 non sembrano promettere di meglio. Se il Pd e la sinistra dovessero stravincere, con Bersani che già si sente Hollande, e il centrodestra dovesse disgregarsi, difficilmente un'ipotesi Monti-bis potrebbe decollare, perché a quel punto i vincitori reclamerebbero per sé il timone, e a Monti non rimarrebbe, forse, che il ministero dell'economia, ma da prigioniero più che da protagonista. Un risultato più sfumato nei numeri per formare una maggioranza di governo favorirebbe una grande coalizione. (...) Ma rischierebbe di rivelarsi solo una brutta copia dell'esistente, con riforme sempre più annacquate e sabotate.
Che si voti nella primavera prossima o in autunno, insomma, l'unico "big bang" in grado di riformare la politica italiana, di sparigliare i giochi, sarebbe la candidatura diretta di Monti, che costringerebbe vecchi partiti e nuove liste a riposizionarsi e a sciogliere ogni ambiguità programmatica. Il professore non scalda certo il cuore degli elettori, ma in questa fase resta più credibile degli altri screditati leader e ricevendo una legittimazione popolare diretta sarebbe più forte dei veto-players politici e sociali.
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