Che la Procura di Palermo abbia finalmente trovato l'osso duro su cui spaccarsi i denti? Può darsi. L'iniziativa del presidente Napolitano, che ha deciso di sollevare presso la Corte costituzionale un conflitto tra poteri dello Stato riguardo alcune intercettazioni telefoniche che lo riguardano appare del tutto giustificata: «Le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione».
Quella che si prevede in Costituzione per il capo dello Stato (art. 90) è un'immunità quasi totale: «Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri». L'unico giudice del presidente è quindi il Parlamento, e solo «per alto tradimento o per attentato alla Costituzione». E in effetti dall'art. 7 della legge di attuazione costituzionale 5 giugno 1989, n. 219, che disciplina le intercettazioni in caso di impeachment, sembrerebbe emergere una pressoché totale non intercettabilità, se non per reati "presidenziali" e nelle modalità previste.
Purtroppo però Napolitano non ha inteso difendere con la dovuta forza un'altra sua "prerogativa" ormai in disuso, quella di presidente del Csm, esercitando la quale potrebbe raddrizzare la pianta storta della magistratura, non limitandosi solo a conservare intatta la sua immunità.
Con la scusa delle intercettazioni «indirette», infatti, i magistrati hanno più volte violato anche le prerogative dei parlamentari. Sul tema l'art. 68 si esprime addirittura in modo esplicito, ma si è giocato sul carattere "indiretto", cioè su utenze telefoniche non appartenenti al parlamentare, e "occasionale" dell'intercettazione, per aggirare l'obbligo di richiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza. E il Parlamento non è stato difeso, né si è difeso, quanto avrebbe dovuto.
Innanzitutto, la legge impone - per tutti - che le intercettazioni non penalmente rilevanti vengano distrutte, e non passate ai giornali. Inoltre, oggetto della garanzia costituzionale non sono semplicemente le utenze, ma le «comunicazioni» del parlamentare, su qualsiasi utenza o "media" vengano intercettate.
Il problema della «surrettizia elusione» della garanzia costituzionale da parte dell'autorità giudiziaria è stato già affrontato in due diverse sentenze (2007 e 2010) della Corte costituzionale, rimaste di fatto inascoltate. In breve, delle due l'una: o si scopre che le comunicazioni sono penalmente rilevanti, e allora l'intercettazione da quel momento non è più indiretta ma diventa "mirata", quindi va chiesta l'autorizzazione; oppure è irrilevante, quindi va distrutta senza poterne fare alcun uso. Se poi le intercettazioni appaiono in concreto finalizzate ad accedere nella sfera delle comunicazioni del parlamentare, magari perché si mettono sotto controllo molti dei suoi contatti abituali, allora «l'intercettazione non autorizzata è illegittima, a prescindere dal fatto che il procedimento riguardi terzi o che le utenze sottoposte a controllo appartengano a terzi...». In tutti i casi non va passata ai giornali.
2 comments:
Si è svegliato non appena è stato intercettato,che singolare coincidenza.
Toni
Se non ha nulla da nascondere perché si preoccupa?
"INTERCETTATECI TUTTI!"
il popolo viola
(che sogna la DDR)
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