Mentre la Bce taglia di un altro 0,25% i tassi (al minimo storico di 0,75%) - insomma, Draghi sta facendo il suo dovere, lui sì - a poche ore dal Cdm che dovrebbe varare il secondo decreto di tagli alla spesa, quello più corposo, emergono le prime nefandezze che fanno temere l'ennesimo flop montiano. I sindacati piagnoni intanto i loro interessi se li sono fatti: si sarebbero salvati dai tagli, infatti, i permessi sindacali degli statali e i finanziamenti ai Caf e ai patronati. Anche i piccoli ospedali sarebbero salvi: il taglio delle strutture con meno di 80 posti letto avverrà eventualmente in un secondo momento, dopo "attenta riflessione". Il taglio praticamente diventa un "invito" alla razionalizzazione rivolto alle regioni. Scommettiamo che la stessa sorte subirà il taglio dei tribunali e delle sezioni distaccate? E' il paradigma di come viene pretestuosamente usata l'accusa dei "tagli lineari": tagliare indiscriminatamente è da infami, ma quando il governo affonda il bisturi, ecco che spunta l'autonomia, la "potestà" di regioni ed enti locali. Rinviati al terzo decreto (semmai ci sarà) anche il taglio delle Province, la sforbiciata del 20% agli enti pubblici e il riordino dei piccoli Comuni.
Per non parlare dello scandalo della Regione Sicilia, che ha più dipendenti di Downing Street (il governo dovrebbe bloccare trasferimenti e fondi finché non li riducono), e delle pensioni d'oro intoccabili (il "tetto" sarebbe incostituzionale, ha detto ieri Giarda).
Va tenuto presente, nel giudicare cosa uscirà fuori, che sul totale dei tagli previsti dal decreto (presumibilmente 7-8 miliardi tra 2012 e 2013), solo 4,2 miliardi andrebbero considerati come vera riduzione della spesa corrente, perché gli altri 3-4 servirebbero a finanziare ulteriori spese più o meno nobili: gli aiuti ai terremotati e le risorse per "salvaguardare" gli esodati.
Mentre fuori dal palazzo proseguono le rivolte (i governatori delle regioni minacciano la "rottura", gli avvocati addirittura s'incatenano e Vendola ritira fuori il solito armamentario retorico della "macelleria sociale"), all'interno è in corso l'assedio dei ministri (su tutti, immaginiamo, Balduzzi e Patroni Griffi) a Monti e a Grilli.
Peccato che il tempo stringe. In Europa si aspettano conferme della volontà e capacità dell'Italia di proseguire nelle riforme, prima di concederci qualcosa sullo scudo anti-spread, e i conti pubblici non sono poi così in sicurezza, come dimostrano i dati Istat sul I trimestre dell'anno. Gli effetti sono per lo più ancora quelli delle manovre tremontiane e comincia a farsi sentire l'esplosione del costo del nostro debito dal luglio scorso in poi.
Ma l'aumento del fabbisogno delle pubbliche amministrazioni e il calo delle entrate, per l'acuirsi della recessione, sono i prevedibili danni (solo i primi) di un consolidamento fiscale perseguito attraverso aumenti di tasse e taglio delle spese in conto capitale, quella che Draghi ebbe modo di definire come la via politicamente più facile ma anche la più sbagliata al risanamento. Per questo è urgentissimo invertire la rotta cominciando a tagliare la spesa corrente, come suggerisce da sempre la Bce. E per rilanciare l'economia le riduzioni di spesa pubblica dovrebbero essere tali da consentire una sensibile riduzione delle tasse su impresa e lavoro, ma non sembra ancora questa la strada intrapresa dal governo Monti.
1 comment:
Non mi stupisco,Monti è un collezionista di fallimenti e sembra ansioso di aumentare la sua raccolta.
Toni
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