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Thursday, February 27, 2003

Fate come noi
Tor Bella Monaca, 26 febbraio 2003, ore 20:45. Ero là con la mia ragazza e alcuni amici per vedere l'ultima fatica di Francesco Apolloni, il film 'Fate come noi', alla cui prima eravamo stati invitati dal nostro big Luciano, di 'Roma Capitale'. Il sindaco Veltroni, che aveva annunciato di dover andar via dopo il primo episodio, è invece rimasto fino al termine.
Storie di ordinaria solitudine metropolitana, che di per sé potrebbero sembrare banali, e proprio per questo difficili da rendere interessanti, a cui invece Apolloni riesce a dare una sua impronta peculiare. Altrettanto merito, se le storie riescono a coinvolgere lo spettatore, spetta agli attori, dalla grande Pupella Maggio, l'ultima interpretazione prima della sua scomparsa, alla più piccola e bravissima 'Livia', Arianne Turchi. Ma ottime le interpretazioni di tutti gli altri.

Solitudini di generazioni diverse, bambini, adolescenti, adulti, vecchi, diversa anche l'estrazione sociale dei protagonisti, dai ragazzi di Tor Bella Monaca, a una famiglia medio borghese. Due gli episodi, uno a ferragosto, l'altro alla vigilia di Natale. Protagonista anche la città, Roma: il centro, naturalmente tutto, da via Veneto a piazza Venezia, passando per i fori, piazza Navona e piazza di Spagna, ma pure la Magliana e l'estrema periferia.
Si deve notare che a Roma non molto spesso si vedono girate così tante scene e, sembrano accorgersene in pochi, la città offre potenzialità immense, un vero tesoro di ambientazioni sottovalutato, ma non da Apolloni, bravo a riprendere la capitale, anche attraverso 'morettiani' giri in motorino.

Il film è semplice, piano piano coinvolge, fa sorridere, è tutto sommato una favola metropolitana, in cui si rispecchiano molto, si intuisce, le inclinazioni dell'autore. E' amaro molte volte, un'amarezza che accompagna per tutta la durata, traspare da ogni angolatura, da ogni sguardo dei personaggi (tutti positivi), da ogni vicenda umana, però non è disperato, viceversa ottimista, in un modo tipico in cui sanno esserlo solo i romani. E poi, a trasparire parallelamente all'amarezza, un'altro lato, ci permettiamo di credere, della personalità dell'autore, la tenerezza. I personaggi, forse togliendo loro un po' di realismo, ma non è il genere di film che ha simili pretese, sanno sempre mostrare il loro lato tenero e comprensivo per il prossimo.
Il finale: nessun colpo di scena, forse prevedibile, ma per niente scontato, soprattutto per come è costruita l'ultima scena.

Eppure, come spiegare il fatto che questa pellicola, pur premiata da Giffoni e Riff, non ha trovato distributori? Per rispondere forse veniamo ai pregi e ai limiti del film. Premetto ovviamente la condanna del solito fallimentare e criminale sistema della distribuzione in Italia, comunque il film è superiore senz'altro a molte produzioni italiane in circolazione.
Mi permetto di indicare una possibile spiegazione, che per me rimane un merito: l'assenza totale di pretese morali, o sociologiche, e intenti pedagogici nei confronti dello spettatore. E' un film semplice, ma non leggero. E' impegnativo, ma non 'impegnato' a quella maniera troppo spesso richiesta ai film italiani da produttori e distributori, che risulta retorica e inutilmente noiosa.

Un'altra spiegazione non riesco ad esprimerla in modo chiaro. Non vorrei essere frainteso, ma in alcuni frangenti, che certo non esauriscono il carattere dei personaggi, si esprime una sensibilità così prettamente radicata nel centro-sud (la vecchia Giustina e i due ragazzi 'coatti' di periferia), che può aver fatto venire meno in qualche distributore il coraggio di intraprendere e 'rischiare' la diffusione della pellicola. Rischio, è bene dirlo, che varrebbe invece la pena di correre.
A chi scrive, dello stesso regista, è piaciuto di più 'La verità vi prego sull'amore', più complesso, davvero rivelatore.

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