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Wednesday, April 10, 2013

Perché in Italia non abbiamo avuto una Thatcher

Anche su Notapolitica e L'Opinione

Quando abbiamo saputo della morte di Margaret Thatcher, in molti una domanda è sorta spontanea, avrebbe detto Antonio Lubrano: perché in Italia non abbiamo avuto una Thatcher, nonostante il nostro paese è, e non da oggi, in una situazione di declino, a causa dello statalismo e del corporativismo, simile a quella in cui si trovava il Regno Unito sul finire degli anni '70?

D'accordo, in Italia tantissimi erano thatcheriani «solo a parole», «all'italiana», come ha osservato Pierluigi Battista. Ma non bisogna dimenticare l'altra faccia della medaglia, che ci ha ricordato Piero Ostellino: ci fosse stata una vera Thatcher, «l'avrebbero spedita a morire a Tunisi». Ogni tentativo di rispondere alla nostra domanda tralasciando uno dei due aspetti - le responsabilità della classe politica di centrodestra e il fattore culturale e istituzionale - è condannato a produrre risposte parziali.

E' vero, i thatcheriani "de noantri" lo erano «solo a parole», hanno fatto poco o niente per diminuire la spesa pubblica, il debito pubblico, quindi le tasse, e per liberalizzare l'economia. Sono partiti sognando il «partito liberale di massa» e sono finiti nell'anti-mercatismo di Tremonti o nel keynesismo di ritorno del "premio Nobel" Krugman.

E' vero, i thatcheriani d'Italia sono stati più «pacioni». Di fronte al conflitto, alle opposizioni anche dure, hanno deciso di battere in ritirata temendo per il consenso del giorno dopo, quindi per le loro carriere politiche, ma anche perché, in fondo, non ci credevano neanche loro alla cosiddetta "rivoluzione liberale". Dopo la caduta della Prima Repubblica dirsi liberali era un modo, per ex-Msi, ex democristiani ed ex socialisti, per sdoganarsi. Una volta rilegittimati, hanno ben presto dimenticato cosa significasse. Qualche timida "lenzuolata" liberalizzatrice il centrosinistra l'ha portata avanti, ma obtorto collo, senza convinzione, solo per convenienza. Ci si era accorti che privatizzare poteva essere un modo per creare una rete di oligarchi amici e che liberalizzare qualcosa si poteva, purché limitandosi a colpire i settori di interesse dell'elettorato altrui.

No, non si può certo dire che il centrodestra italiano sia stato "liberista", tutto "small government e deregulation". Bisogna però riconoscere qualche circostanza attenuante ai liberali della Prima Repubblica, per aver fatto i "cespugli" della Democrazia cristiana quando l'alternativa era il comunismo di Mosca. E nella giusta critica al berlusconismo non si può ignorare che per tre volte Berlusconi ha coalizzato vaste maggioranze di centrodestra intorno a parole d'ordine liberiste, anti-stataliste, mentre mai niente di simile si è visto a sinistra. Berlusconi e la sua classe dirigente hanno poi tradito la "rivoluzione liberale", hanno governato da moderati nel senso di "socialisti moderati", e nell'elettorato di centrodestra le spinte stataliste e assistenzialiste del centro-sud e le spinte corporative hanno finito per prevalere sulle istanze liberalizzatrici. Ma tutto ciò non cancella il fatto inoppugnabile che da una parte i "thatcheriani", almeno a parole, sono esistiti, e che milioni di elettori di centrodestra hanno risposto, e ancora rispondono presente ai richiami liberisti, mentre dall'altra parte istintivamente li hanno sempre respinti.

Certo è che chi si è opposto alla riforma delle pensioni del primo governo Berlusconi, nel 1994, o all'abolizione dell'articolo 18, solo per citare due esempi, non ha titolo oggi per biasimare il centrodestra perché non ha saputo esprimere una Thatcher. Non si possono recitare due parti in commedia.

In fondo, una Thatcher in Italia non c'è stata perché non siamo inglesi. Non abbiamo né la loro cultura politica né il loro modello istituzionale e questi sono forse i fattori che più hanno pesato. Non è da noi che è sorto e si è sviluppato il pensiero liberale. La cultura liberale è sempre stata ultra-minoritaria nelle élites, schiacciata tra il solidarismo cattolico e l'assistenzialismo comunista e post-comunista. E il libero mercato lontano dall'esperienza concreta della borghesia e del capitalismo italiani. Tanto che il giornale degli industriali, il Sole24Ore, ha pensato bene di ospitare in prima pagina un convinto commento anti-Thatcher di Romano Prodi. Il caso Italia è particolamente penoso: la controversa percentuale del 47% di elettori che secondo Romney avrebbero comunque votato Obama, perché in vario modo sussidiati dal governo, in Italia probabilmente supera di gran lunga il 50%, rendendo ancor meno attraenti le opportunità che le politiche liberiste potrebbero aprire. Troppo pochi, e senza voce, gli outsider.

Non sorprendiamoci, dunque, se una Thatcher in Italia è impossibile. Anche il sistema istituzionale e politico è stato concepito, edificato e preservato apposta per renderla impossibile. Nel Regno Unito la politica è conflitto, alternative di governo, da noi concertazione e trasformismo. Il modello di leadership che la Thatcher rappresenta si è potuto affermare per le virtù del bipartitismo e di un premierato forte, che da noi è considerato una forma di autoritarismo. Il nostro è un sistema di poteri deboli, consociativo, che premia il trasformismo e deresponsabilizza i leader. Il presidente del Consiglio non ha il potere che ha avuto la Thatcher. E ogni tentativo di riformare la nostra Costituzione, che molti ancora ritengono "la più bella del mondo", in senso presidenzialista, o del premierato, si sono infranti contro una strenua, radicale opposizione, anche da parte di quanti, oggi, hanno il coraggio di dire che sì, in effetti, avremmo avuto bisogno di una Thatcher, ma che se ci fosse stata le avrebbero riservato il trattamento che per molto meno hanno riservato a Craxi e a Berlusconi.

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