La differenza tra i governi Berlusconi e Prodi sul piano dei conti pubblici è tutta in un 2%. Berlusconi ha lasciato il livello della pressione fiscale al 41%, aumentando però la spesa del 2%. Prodi ha coperto quel 2% con altre tasse, per cui il livello del prelievo è salito dal 41 al 43%. Il Governatore della Banca d'Italia Draghi ha chiarito, se ancora ci fossero dubbi, che la relativa stabilità dei conti pubblici oggi è dovuta all'aumento delle tasse e non a riforme strutturali della spesa.
Anche Draghi ha definito «auspicabile» una riduzione del carico fiscale. Ma, ha aggiunto, non si può fare se prima non si riducono le spese. Ed è qui che è intervenuto Giavazzi: «Io penso invece che sia venuto il momento di diminuire comunque le tasse: se non lo si fa ora, non se ne riparlerà più prima della prossima legislatura... Se si agisce oggi la pressione sulla spesa aumenterà: stretto fra i vincoli europei e l'impossibilità politica di aumentare di nuovo le tasse, dopo averle appena ridotte, forse il governo qualche taglio lo farà».
Ma c'è un altro luogo comune da rimuovere. Quando si propone di abbassare le tasse, si specifica sempre che bisogna partire dal lavoro dipendente e dalle famiglie con i redditi più bassi. Certamente, per motivi di equità, qualsiasi diminuzione del carico fiscale dovrebbe senz'altro sempre riguardare in modo cospicuo queste categorie. Ma un taglio del prelievo fiscale a vantaggio di quelle famiglie «che fanno più fatica ad arrivare alla fine del mese» aiuterebbe i consumi in modo impercettibile. Molte famiglie potrebbero certamente rifiatare, ma è lecito presumere che non si lancerebbero in un consumismo sfrenato.
Un taglio limitato ai redditi più bassi non basterebbe ad attenuare il rallentamento dell'economia. Se si vogliono davvero liberare risorse per ridare slancio alla crescita economica occorrono tagli consistenti e certi anche per i redditi medio-alti e per le imprese. Le famiglie dal reddito medio-alto potrebbero espandere i loro consumi e le imprese riprendere a investire in ricerca e sviluppo.
Finalmente, infine, Giavazzi introduce sulla prima pagina del più autorevole quotidiano italiano il tema esplosivo delle trattenute alla fonte, di cui i radicali chiesero l'abolizione con un referendum mai ammesso dalla Corte costituzionale.
«Una democrazia esige che i cittadini possano rendersi conto di quanto l'imposizione fiscale incida sulla loro busta paga e sui loro redditi. Ciò che il lavoratore riceve non è lo stipendio cui ha diritto ma solo ciò che gli rimane dopo aver pagato tasse e contributi, salvo i conguagli di fine anno. Se egli si rendesse conto di quanto lo Stato gli sottrae, pretenderebbe un buon uso di quel denaro e chiederebbe conto con maggior forza a chi governa dei disservizi, degli sprechi e del pessimo funzionamento di molti pubblici uffici».L'abolizione del sostituto d'imposta restituirebbe ai cittadini la consapevolezza del costo dello Stato, strumento cognitivo essenziale per esercitare una forma minima di controllo democratico sull'attività principale dei governo: la spesa pubblica. A quel punto, l'evasione fiscale non riguarderebbe più solo i lavoratori autonomi. Vorrei proprio vedere se qualcuno osasse criminalizzare il metalmeccanico evasore con un netto in busta paga di poco più di mille euro. Fino ad oggi si è fatto credere che da una parte ci fossero i cittadini onesti e dall'altra i delinquenti. Abolendo il sostituto d'imposta potremmo quantificare quanto l'evasione fiscale sia avvertita come necessità per sopravvivere e quanto sia dovuta alla mancanza di civismo.
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