Ciò che nutre ancora la speranza di Prodi di potercela fare ad ottenere la fiducia anche al Senato è il fatto che gli incerti, come Fisichella, i diniani e gli Ud Bordon e Manzione, e persino l'Udeur, che ha provocato la crisi, non vogliono quella fine traumatica della legislatura, quelle "elezioni subito", che uno scontro all'ultimo sangue in Senato provocherebbe, ma un governo di "tregua", istituzionale, innanzitutto per approvare una nuova legge elettorale, ciascuno con le idee diverse nel merito. Insomma, quelli da cui dipende la sua caduta, allo stesso tempo non vorrebbero tornare subito alle urne.
Così Prodi li sfida: se mi fate cadere avrete ciò che non volete. Poi ci sono le 600 nomine pubbliche con le quali può sempre "comprare" qualche assenza nel campo avversario, o qualche voto tra gli "incerti": i vertici di Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Terna, Tirrenia non sono poca cosa.
Proprio per favorire uno scenario meno conflittuale, che rendesse possibile il proseguimento della legislatura con un governo di "tregua", istituzionale, soprattutto Napolitano e D'Alema si sono adoperati nelle ultime ore per convincere il professore a dare le dimissioni: "Se ti bocciano in Senato ti precludi la possibilità di un altro incarico". Un reincarico, un Prodi-bis di breve durata, a tempo, è stata l'esca con la quale hanno cercato di tentare Prodi, che però non si è fidato. Innanzitutto, crede possibile un reincarico anche venendo bocciato dal Senato mentre teme, a ragione, che da dimissionario verrebbe messo da parte in fretta. Inoltre, ciò che vuole evitare a tutti i costi è che la legislatura prosegua senza di lui. Dunque, non ha alcun interesse a svelenire il clima per permettere accordi sopra la sua testa. Prodi accarezza l'idea di essere di nuovo lui il candidato premier del centrosinistra se si andasse a elezioni anticipate, o comunque di mettere i bastoni tra le ruote di Veltroni presentando una sua lista salva-nanetti.
L'idea di D'Alema sarebbe stata quella di riagganciare Udeur e Udc promettendogli un governo di "tregua", di breve durata, per varare una nuova legge elettorale sul modello tedesco, con Veltroni emarginato nel ruolo dello spettatore. «L'operazione - ha spiegato ieri il sottosegretario Naccarato - è denominata "due piccioni con una fava". Cioè un modo per far fuori insieme Prodi e Berlusconi. Io ci aggiungerei anche un terzo piccione, Veltroni. L'idea è quella di portare in Parlamento un governo con un unico punto programmatico: una legge elettorale sul modello tedesco. Gli ideatori? Napolitano e D'Alema». Che l'operazione sia stata in campo è quasi certo. Che potesse riuscire, improbabile.
Casini chiedeva che Prodi rinunciasse ad andare in Senato e comunque avrebbe avuto molto da perdere in termini di immagine e voti, senza avere la certezza che il modello tedesco avesse potuto trovare i numeri in Parlamento. Era uno scenario ovviamente guardato con sospetto da Veltroni, cui non dispiacerebbe arrivare alle elezioni senza Prodi, ma non con il modello tedesco. Allora meglio l'offerta di Berlusconi, che il forzista Crosetto ha spiegato così: «Riforme tutti insieme dopo le elezioni. E intanto Walter va alle urne con questa legge che gli consente di scegliere lui chi mettere in lista e chi fare fuori».
Sull'altro lato, Berlusconi sembra consapevole infatti che tornare al governo con l'attuale legge elettorale, pur vincendo in modo schiacciante le elezioni, non lo metterebbe nelle migliori condizioni per governare. Fini e Casini tornerebbero da subito a perseguire l'obiettivo di logorarlo e l'Udc ha già preannunciato che all'indomani del voto lavorerebbe a un governo di "larghe intese".
«Io sono stanco, la macchina non c'è e soprattutto non ho la bacchetta magica. E invece ora tocca correre davvero e chissà come faremo...», riporta sul Corriere di oggi Marco Galluzzo, che spiega: Berlusconi «ha la consapevolezza che se tornasse al governo sarebbe comunque una via crucis». Al Senato avrebbe sì 30 o 40 senatori in più della sinistra, un'ampia maggioranza, eppure Berlusconi confida: «Sono preoccupato». Il margine al Senato potrebbe anche essere molto più largo di quello risibile di cui ha goduto Prodi, ma la pluralità di apparati da soddisfare renderebbe Berlusconi di nuovo ricattabile da An e Udc.
A questo punto le soluzioni a disposizione del Cavaliere sarebbero due. Una volta caduto Prodi, potrebbe rilanciare l'accordo con Veltroni per una nuova legge elettorale maggioritaria e tendenzialmente bipartitica - che però troverebbe difficoltà a trovare i voti in Parlamento, dove nel Pd sono più forti le correnti dalemiana, mariniana e rutelliana, favorevoli al modello tedesco - oppure per andare al referendum. E potrebbe, dopo la probabile vittoria, allargare comunque la sfera del consenso, coinvolgere in qualche modo il Pd o come minimo promuovere una "pacificazione nazionale" su alcune tematiche, con una formula ancora tutta da trovare: si va dalla "Grossa Coalizione" per la quale spinge l'Udc al "modello Sarkozy", su cui sarebbe d'accordo An, prendendo il meglio della sinistra, da Amato a Ranieri.
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