Mentre Obama dichiara di non escludere di armare i ribelli, le parole nemmeno del ministro, ma di un portavoce della Farnesina che evidentemente non ha letto la rassegna stampa («non è la soluzione ideale... sarebbe una misura controversa, estrema e certamente dividerebbe la comunità internazionale») suonano esattamente come quel controcanto, quell'ambiguità che giustificano una certa freddezza nei confronti dell'Italia da parte del Consiglio nazionale di transizione libico, sempre più riconosciuto nel ruolo di guida del processo che porterà ad una nuova Libia. Freddezza emersa anche ieri al summit di Londra.
Più passano i giorni e più sembra evidente che Parigi riconoscendo il Cnt ha solo fatto prima degli altri, assicurandosi tutti i vantaggi che in prospettiva comporta, ciò che prima o poi anche gli altri Paesi saranno indotti dagli eventi a fare. E mentre un ambasciatore francese è già a Bengasi, e gli Stati Uniti inviano un loro rappresentante, Frattini ieri è solo riuscito ad ammettere che be', sì, la credibilità del Cnt si rafforza. Nel frattempo però, mentre apriamo lentamente gli occhi, l'Italia si vede scavalcata anche da Ankara. L'esercito turco già assicura il funzionamento del porto e dell'aeroporto di Bengasi; anche Erdogan tratta con Gheddafi per raggiungere un cessate-il-fuoco, mentre il suo ministro degli Esteri parla direttamente con Jibril, il capo del Cnt. Mi chiedo quanto ci vorrà perché alla Farnesina capiscano che è ora di riconoscere anche noi il Cnt ed instaurare rapporti formali.
Solo chiacchiere al summit di ieri a Londra, come si legge sui giornali? Da una parte sì: tutti hanno ripetuto che Gheddafi se ne deve andare, senza avere le idee chiare sul come. Nessuna decisione, dunque, anche se una piccola indicazione sulla piega che sta per prendere l'intervento alleato in realtà c'è: l'ipotesi di armare gli insorti sembra farsi strada. Detto questo, politicamente qualcosa è senz'altro accaduto. Esce rafforzata la credibilità del Cnt, e insieme ad essa il ruolo di chi li ha riconosciuti per primo. Essendo ancora in alto mare ogni ipotesi di esilio, su cui l'Italia sta puntando tutte le sue forze per recuperare un ruolo di primo piano nella crisi libica, esce accentuato anche il protagonismo di Londra e Parigi. Tra l'altro, siccome l'idea di un «esilio dorato macchiato di sangue» non piace molto ai ribelli, Frattini ha dovuto anche specificare che esilio non significa impunità, un altro macigno che grava sulla fattibilità della soluzione. Chi riuscirà ad aiutare il popolo libico a liberarsi di Gheddafi? Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna a forza di bombe, e forse fornendo armi agli insorti, o l'Italia con l'esilio? Se le ambiguità e i limiti imposti alla missione militare non rendono scontato il successo dei primi, ancor più improbabile che riesca la soluzione all'italiana. Soprattutto perché quante più difficoltà incontra la soluzione militare, tanto più diminuiscono le chance che Gheddafi si senta alle corde.
E' comunque questo - chi farà di più per cacciare Gheddafi -, comprensibilmente, uno dei metri di giudizio per le future relazioni che instaurerà con i Paesi occidentali la nuova leadership libica che sta prendendo forma in queste settimane. A Londra erano tre i rappresentanti del Cnt: Mahmoud Jibril, Guma El-Gamaty e Mahmoud Shammam. Hanno parlato con tutti, ma non c'era bisogno di essere presenti per capire che i rapporti privilegiati sono con Parigi («Sarkozy a Bengasi è ormai un eroe»), Washington e Londra. Le parole di Shammam sull'Italia, riportate dal Corriere della Sera, sono emblematiche e confermano le mie previsioni: «Distinguiamo fra italiani e governo italiano. Gli italiani sappiamo che ci appoggiano e saranno i benvenuti. Quanto al governo di Roma devo ammettere che c'è un grosso problema». Perché? «Il vostro premier ha avuto rapporti personali troppo stretti con Gheddafi e la sua famiglia, indubbiamente questo è un ostacolo al ruolo che l'Italia potrà svolgere». E Sarkozy no? «Ma adesso ci ha difeso». Chiedete che anche l'Italia vi riconosca? «No, il nostro obiettivo non è il riconoscimento, è semmai quello di cacciare subito Gheddafi e di avviare il processo politico per la ricostruzione della Libia. Poi decideremo e valuteremo le relazioni mediterranee». Più chiaro di così... Esattamente come scrissi giorni fa, fin dall'inizio della crisi, non sarà il passato a contare nelle relazioni con la nuova Libia - chi ha fatto più o meno affari con Gheddafi, chi era più o meno "amico" - ma il presente, chi cioè si impegna di più a cacciarlo. Ed è comprensibile che sia così. Quindi c'era tutto lo spazio per una conversione immediata a 180 gradi, esattamente come quella di Obama con Mubarak e di Sarkozy proprio con Gheddafi, e non ci saremmo trovati a rincorrere gli altri sventolando un piano "pannelliano" per Gheddafi.
Alla luce delle mosse che sta compiendo il governo italiano, il rischio non dico di essere tagliati fuori, ma di restare in secondo piano nel processo che porterà alla nuova Libia, Paese nel quale abbiamo rilevantissimi interessi strategici e commerciali, stanno aumentando o diminuendo? Scampato il pericolo iniziale di un isolamento totale, a me pare che restiamo nelle seconde file, se non in balconata, costretti a rincorrere le mosse altrui senza mai anticiparle.
3 comments:
gheddafi, baldanzoso, è ancora li .. di soldati francesi a morir sull'arido suolo nemmeno l'ombra ..
mi chiedo se ti rileggi ogni tanto ...
Panka
"...sempre più riconosciuto nel ruolo di guida del processo che porterà ad una nuova Libia..."
Riconosciuto da chi?
http://gheddo.missionline.org/?p=684
.. tanto per avere opinioni diverse sulla stupida missione ..
panka
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