Perché per la sinistra è così difficile accettare che il salario sia in qualche modo legato al merito, cioè alla produttività anche individuale? Pesa la concezione marxista, ma anche cristiano-sociale, che il salario non sia legato al valore prodotto, bensì, come ha siegato Andrea Ichino, ieri sul Sole 24 Ore, ad una «astratta capacità umana, uguale per tutti», che ha valore in sé, indipendentemente dal bene prodotto.
I sindacati e la sinistra comunista ritengono le doti innate, e il contesto (cioè l'organizzazione dell'impresa), gli unici fattori che determinano la produttività anche individuale. Dunque, sarebbe «non solo eticamente ingiusto, ma anche inutile pagare i lavoratori in proporzione al risultato e in modo differenziato, perché questo non influirebbe sulla loro produttività».
Si tratta evidentemente di una convinzione profondamente viziata dall'ideologia, perché tutti sappiamo per esperienza diretta e per semplice buon senso che la produttività individuale dipende «anche dall'impegno che il lavoratore decide di esercitare». Ma chiaramente merito individuale e valore della prestazione sono concetti che scardinano il determinismo della teoria marxista sul conflitto di classe.
Per questo, «la soluzione proposta dalla teoria economica prevede un contratto in cui la retribuzione sia composta da una parte fissa, per assicurare il lavoratore dagli eventi a lui estranei, e una parte variabile in funzione del prodotto, per incentivare il lavoratore» a un impegno «ottimale». «Sembra proprio quanto prescrive l'art. 36 della Costituzione nelle sue due parti», fa notare Ichino.
No comments:
Post a Comment