Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu è ancora riunito, presieduto dal ministro degli Esteri D'Alema, ma quasi certamente sancirà l'impossibilità di un accordo tra serbi e kosovari nella definizione dello status del Kosovo e l'inconciliabilità della posizione russa e cinese con quella degli altri tre membri permanenti (Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia).
Tra la Russia, che sostiene la Serbia ponendo il veto sull'indipendenza e chiedendo il proseguimento dei negoziati diretti, terminati senza esito il 10 dicembre scorso, e gli Stati Uniti, che spingono per l'indipendenza unilaterale, è stretta l'Unione europea, consapevole dell'inevitabilità dell'indipendenza ma preoccupata per i possibili effetti destabilizzanti sulla regione.
L'obiettivo dell'Ue, ha spiegato il ministro D'Alema lunedì scorso alla Commissione Esteri della Camera, è l'avvio di un «processo governato», sotto la responsabilità europea, verso l'indipendenza del Kosovo, nella consapevolezza che sia venuta meno la possibilità di governarlo da parte dell'Onu e che i negoziati diretti non hanno dato risultati, se non l'impegno solenne delle parti ad astenersi dall'uso della forza. In questi mesi sono sì emerse proposte che «potranno tornare utili» – «un insieme di patti e vincoli, compresi organismi comuni, che configurano un patto federativo» – ma sul nodo di principio dell'indipendenza le posizioni rimangono inconciliabili.
Lo status quo di un protettorato Onu permanente non è un'opzione: il Kosovo ha comunque bisogno di una dimensione statuale e di una classe politica responsabilizzata. Né è realistico il ritorno dei kosovari sotto la sovranità serba. D'Alema ha sottolineato come la prospettiva attuale dell'indipendenza derivi direttamente da una vicenda storica la cui responsabilità non può essere imputata ad altri che allo Stato serbo, anche se non all'attuale classe dirigente.
Si va quindi a passo spedito verso l'indipendenza del Kosovo che, per quanto concordata e coordinata «nei tempi e nei modi» con l'Unione europea, avrà la caratteristica dell'unilateralità. Un processo da tenere il più possibile sotto controllo, perché i rischi di destabilizzazione sono molteplici e vanno dal separatismo serbo in Bosnia a quello degli albanesi in Macedonia, e persino degli ungheresi in Serbia. Per non parlare della minaccia implicita di Putin di alimentare il separatismo in Ossezia e Abkazia, regioni contese nella Georgia governata dal presidente filo-occidentale Saakashvili.
Appurata l'ennesima situazione di stallo all'Onu, la primaria responsabilità dell'Ue in questo processo sarà di supervisione e controllo, soprattutto per garantire il rispetto dei diritti della minoranza serba in Kosovo. Si tratta, ha spiegato D'Alema, di un «test primario», un «vero banco di prova» per la politica estera dell'Ue. D'altra parte, la lunga «guerra civile balcanica», ha osservato, «troverà una sua definitiva dimensione di pace solo nella prospettiva dell'integrazione» dei Balcani nell'Ue, «condizione essenziale per costruire stabilità» e «largamente condivisa da governi e opinioni pubbliche di quei paesi».
Il Consiglio europeo ha deciso di dispiegare in Kosovo, dove già operano 16 mila soldati Nato, una missione civile di 2 mila funzionari, ma il presidente serbo Kostunica ha già detto che la missione è «impossibile senza il mandato delle Nazioni Unite».
Non mancano, anche nel Parlamento italiano, gli scettici e i contrari all'indipendenza unilaterale del Kosovo: Lega Nord, Rifondazione comunista, Pdci e Verdi su tutti. E' ipotizzabile «solo nel momento in cui la Serbia, il Kosovo e altri entreranno nell'Ue», secondo il leghista Giancarlo Giorgetti. Mentre Forza Italia e An sembrano più preoccupati di pizzicare D'Alema sull'unilateralismo: «Non crede il ministro che Usa e Ue adotterebbero lo stesso unilateralismo rimproverato in Iraq qualora riconoscessero l'indipendenza senza l'Onu?», fa notare Dario Rivolta.
Il principale argomento dei serbi, dei russi, e di tutti coloro che sono contrari all'indipendenza unilaterale del Kosovo è il rispetto della legalità internazionale, del suo principio base dell'inviolabilità dei confini e della sovranità statuale, in questo caso della Serbia. Ma a questo unico principio ogni altro dev'essere sacrificato? Non fa parte della legalità internazionale anche il rispetto da parte degli Stati dei diritti umani delle popolazioni su cui esercitano il loro potere? Non esiste in questo senso un contratto tra governanti e governati? Certo, molti sono i paesi in cui questi diritti, per svariati motivi, non sono garantiti, ma l'attuale prospettiva di indipendenza del Kosovo è stata spalancata dall'ultimo atto di pulizia etnica scatenato da Milosevic nel '99. Quel giorno, e il giorno in cui la Nato ha deciso di intervenire in difesa della popolazione albanese, ricordando gli errori compiuti in Bosnia, la Serbia ha stracciato quel contratto e perso la propria sovranità sul Kosovo. Se la popolazione albanese fosse stata soggiogata o cacciata, Belgrado avrebbe mantenuto con la forza quella sovranità, pur perdendone la legittimità. Ma se quella popolazione si fosse salvata, come poi è avvenuto, con l'intervento della Nato, era chiaro che non sarebbe più potuta tornare sotto l'autorità serba.
Non partecipando alla demonizzazione dell'unilateralismo Usa, non critichiamo oggi la posizione del ministro D'Alema, che però dovrà pur riconoscere che qualche volta, quando l'Onu è impotente, qualcuno deve pur prendersi le responsabilità cui gli eventi richiamano.
2 comments:
Gentile JimMomo,
nel suo pur lungo post lei salta a piè pari la lunga storia che ha portato al conflitto in Kosovo. Scrive che è la Serbia ad aver infranto "il contratto" con i kosovari ed auspica che vengano protette le minoranze serbe (i fatti però smentiscono questo auspicio).
Non è una questione di legalità internazionale, ma culturale.
Ecco, le scrivo solo per esprimerle il mio più profondo disaccordo.
Rileggerò per Natale il libro di Babsi Jones.
La legalita' non si puo' pretendere solo quando fa comodo. E la Serbia di oggi non e' la dittatura di Milosevic.
Detto questo, e appurato che l'indipendenza unilaterale e' inevitabile, l'UE dovrebbe aprire porte, balconi e finestre alla Serbia democratica.
D'Alema ieri ha detto che in fondo la colpa e' di Russia e USA, che hanno forzato la mano a Serbia e Kosovo rispettivamente. La colpa quindi e' della UE che non e' riuscita a fermare i bulli.
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