Mentre il presidente del Consiglio con un tono di voce da oltretomba fallisce negli ultimi illusionismi di fine anno, Panebianco e Ricolfi tornano a denunciare il declino italiano indicandone lucidamente le cause. Angelo Panebianco, sul Magazine del Corriere, se la prende con la cultura catto-comunista che ancora prevale nella politica e nella società italiana.
Si continua a proclamare la necessità di «riforme», ma in pochi spiegano quali, per fare cosa. «Politici e commentatori parlano poco di sviluppo perché temono di urtare la sensibilità di quelli che pensano che lo sviluppo sia una cosa, al tempo stesso, sporca (inquinante) e peccaminosa, immorale. E' più facile sentire omelie contro il denaro e il consumismo (e quindi, implicitamente, contro la crescita economica) che convinti discorsi a favore dello sviluppo». Semmai, abbondano discorsi a favore della «ridistribuzione senza crescita», che sembrano «ispirati a ideali di comunismo primitivo». Ma se in breve tempo non saremo in grado di sviluppare un tasso di crescita superiore al 3/4% annuo andremo incontro a un «impoverimento collettivo», e i greci, oltre che gli spagnoli, ci sorpasseranno.
E' «difficile immaginare un esecutivo ancora più dannoso e scomposto di quello che ci ha governati in questa legislatura», ma per Luca Ricolfi è anche «improbabile che un nuovo governo affronti i problemi che più stanno a cuore alla gente comune». E non solo perché «i nostri politici si sono autoconvinti che se non riescono a decidere non è colpa loro, ma delle istituzioni».
Anche perché quel "partito del rigore" che potrebbe subentrare, scalzando Rifondazione e i sindacati per tentare di realizzare «quel che Prodi e Padoa-Schioppa hanno sempre promesso nei loro Dpef, senza però mai mantenere l'impegno a causa dell'opposizione della sinistra estrema», punterebbe a «risanare i conti tenendo alta la pressione fiscale e tagliando la spesa corrente». Sarebbe ragionevole, si chiede Ricolfi, una simile politica, a prescindere dalle sue possibilità di successo?
No, perché non terrebbe conto di due questioni fondamentali: il drammatico calo del potere di acquisto e lo stato sociale «sprecone» e «incompleto». Non basta, insomma, «liberarci dal partito della spesa», se poi finiamo nelle mani di quello «dei banchieri». Ricolfi indica «tre impegni fondamentali»: una «vera riduzione delle imposte»; finanziare lo stato sociale eliminando gli sprechi: se «il ministro X vuole spendere 100 per un nuovo servizio, il governo gli concede 30 ma solo dopo che il ministro ha già raccolto 70 eliminando sprechi in un servizio preesistente (secondo valutazioni prudenti, gli sprechi eliminabili senza ridurre i servizi erogati superano ampiamente i 50 miliardi di euro all'anno)»; un «piano oculato di dismissioni e privatizzazioni».
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