Gli effetti negativi della vendita di Alitalia ad Air France su Malpensa non c'entrano nulla con la questione settentrionale e con le politiche punitive che questo governo ha sì attuato nei confronti dei ceti produttivi e, quindi, in gran parte nei confronti del Nord Italia.
Malpensa è uno scalo aeroportuale di proprietà del Comune di Milano sul quale ogni compagnia aerea può (e dovrebbe) decidere in piena autonomia se e quanto puntare, se e quanto investire, seguendo logiche commerciali. Finora Alitalia non ha potuto seguire quelle logiche, proprio per gli interessi e le pressioni della politica, non solo romana ma anche locale. Il Tesoro, azionista di maggioranza, ha dovuto tenere conto di tutte le istanze "politiche" nella gestione della compagnia di bandiera. Proprio queste palle al piede non hanno permesso ad Alitalia di essere gestita secondo logiche di mercato e l'hanno resa una compagnia da 400 milioni di euro di perdite l'anno. Coloro che oggi protestano per Malpensa sono parte del problema che ha portato Alitalia al fallimento.
E nel caso Malpensa abbiamo la migliore dimostrazione di quanto siano trasversali agli schieramenti i cosiddetti veto-player: veti corporativi, localistici, clientelari, posti da sindacati, partiti, enti locali di sinistra o di destra che sanno solo dire no e opporsi alle decisioni prese da Roma nell'interesse generale, come nel caso della Tav, o da un'azienda che per sopravvivere dovrebbe poter agire secondo logiche commerciali, come nel caso di Alitalia. Nel caso della Tav sono Verdi, comunisti, Disobbedienti e altre formazioni antagoniste, oltre ai sindaci della Val Susa. Oggi, nel caso di Malpensa, è Formigoni a guidare la protesta, gettando la maschera da liberale e mostrando le sua cultura democristiana. Protesta cavalcata anche da An e Lega, in compagnia dei sindacati. Eccolo qui il problema del nostro paese: per una volta che all'interno di un governo fallimentare prevale il "partito del mercato", è dall'opposizione di centrodestra che si leva la bandiera dell'italianità, strumentale a nascondere la voglia di partiti e sindacati di avere ancora le mani in pasta in Alitalia.
D'altra parte, come si spiega il no a Ryanair, che si è offerta di coprire in parte il parziale ritiro di Alitalia, per quanto riguarda le rotte internazionali a breve-medio raggio? Si vuole a tutti i costi mantenere una compagnia italiana a Malpensa, di proprietà dello Stato o delle banche, su cui poter esercitare la propria influenza politica e sindacale. Certo, passando ad Air France-Klm (primo vettore mondiale), quei partiti non potrebbero più tracciare rotte di loro comodo oppure sistemare "compagni" dirigenti.
Sono «senza senso» le proteste del «partito del Nord», spiega Andrea Giuricin, fellow dell'Istituto Bruno Leoni: «Alitalia ha scelto Roma Fiumicino nel suo piano industriale presentato in settembre. La stessa scelta viene ora portata avanti da Air France, probabile futuro acquirente della compagnia italiana. Sarà il mercato a dire se tale scelta industriale compiuta è giusta o meno... la realtà dura e cruda è solo una: Alitalia non è mai stata in grado di avere un doppio hub (Roma e Milano), se non con perdite di milioni di euro l'anno. Non deve essere lo Stato a salvare Malpensa, così come non doveva essere lo Stato a gestire Alitalia così male per così tanti anni».
Se Alitalia cederà gli slot su Malpensa, ciò non significa che non possano essere acquisiti da altre compagnie. Se non lo fossero, vuol dire che non c'è sufficiente traffico aereo e in quel caso autorità pubbliche e privati dovrebbero sforzarsi per attrarne. Il problema, quindi, è come sviluppare al meglio Malpensa, non più obbligando Alitalia a scelte autolesionistiche perché tanto pagano i contribuenti, ma puntando su una seria strategia commerciale. Il Comune di Milano, primo azionista della SEA Milano, «deve agire come un privato e cercare nuovi clienti». La domanda a questo punto è: saprà farlo?
«Se la domanda di traffico è reale, resterà tale, a prescindere da chi offrirà i voli», spiega anche Oscar Giannino, su Libero, rivolgendosi direttamente al presidente della Lombardia Formigoni. Il Nord, Malpensa, non sono stati traditi oggi, ma quando si «fece credere che, malgrado le perdite di Alitalia già evidenti, la compagnia avrebbe potuto senza problemi allestire una seconda propria base di armamento a Malpensa» e «in tutti gli anni successivi, fino a quando è apparso evidente anche ai più testoni, che ormai Alitalia era in condizioni puramente fallimentari, fuori dalle rotte internazionali, con il ricco traffico business del Nord sempre più aspirato da Monaco e Francoforte, con una flotta sempre più vecchia e velivoli che non valgono più nemmeno il prezzo della lega metallica con cui sono realizzati».
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