Celebrare l'unità d'Italia con i fatti e non a parole. Si può sintetizzare così il pensiero espresso sia dal ministro Calderoli domenica scorsa, ospite di In Mezz'ora, di Lucia Annunziata, sia dal leader della Lega Bossi, in un'intervista di oggi a la Repubblica. Oppure, si può travisare, fingere di non capire, mettere in bocca ai leghisti espressioni dissacranti anche quando non lo sono. Mi dispiace per Fini, ma non vedo alcuna «sostanziale negazione dell'unità nazionale» nelle parole di Calderoli e l'intervista di Bossi ne è la conferma. E' una macchietta polemica che ormai serve solo al presidente della Camera per distinguersi a tutti i costi, per trovare le ragioni di una frattura che sente come necessaria in realtà per la sua frustrazione di "eterno secondo".
Bossi non esclude di partecipare alle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia, anche se, osserva, «a naso mi sembrano le solite cose inutili e un po' retoriche». Chi in tutta onestà può dirsi certo che i fatti gli daranno torto? Deve ancora rifletterci su e decidere, aggiunge Bossi, ma fa comunque capire che non mancherebbe all'appuntamento se il presidente Napolitano lo chiamasse. Qui si scommette che i leghisti ci saranno. Fini giudica «un'inezia», in tempi di crisi economica e ristrettezze di bilancio, spendere 35 milioni di euro per le celebrazioni. Che ci saranno, stia tranquillo, ma c'è sicuramente un modo più concreto rispetto alle parate, ai musei e ai gagliardetti per celebrare l'anniversario dell'unità.
La «speranza» del leader leghista, per esempio, è di «arrivarci con il federalismo fatto, che sia legge e diventi finalmente realtà». Il ragionamento di Calderoli e Bossi è semplice: oggi l'Italia può dirsi davvero unita? O forse il federalismo, proprio nella ricorrenza del prossimo anno, può rappresentare il completamento del processo unitario? Fini ci tiene a marcare la sua differenza culturale dalla Lega e risponde di no: l'Italia è «già unita» e il federalismo «non serve a unire». Da romano non mi vergogno di sentirmi più vicino all'approccio di chi invece pensa che l'Italia sia unita formalmente, dal punto di vista dei confini, e che abbia bisogno di più unità.
Quello tra il Nord che produce e il Sud assistito è uno squilibrio che, prima di ogni altra considerazione, non regge più e che rischia - questo sì - di minacciare l'unità nazionale, nella misura in cui gli italiani delle diverse parti del Paese hanno sempre meno la sensazione di condividere una stessa storia, uno stesso destino, gli stessi interessi in termini di prospettive di benessere e realizzazione. Serve quindi un nuovo patto unitario tra Stato centrale, comunità locali e singoli cittadini, in cui ci sia un rapporto tra la ricchezza che si crea in un territorio e ciò che si spende, tra i servizi che si offrono e ciò che si chiede ai cittadini. Con tutti i dovuti paracadute, ma se non si crea questo rapporto, e non entra nella percezione dei cittadini che il malgoverno si paga, allora addio non solo all'unità.
Una ritrovata, rinvigorita unità del Paese oggi passa indubbiamente anche, se non soprattutto, per il federalismo fiscale. Perché non riconoscere i passi avanti compiuti dalla Lega, che non solo non parla più di secessione, ma che vede nel federalismo - parole di Bossi - «l'unico pezzo che manca al compimento della vera storia del nostro Paese»? Perché non riconoscere alla Lega di aver offerto al Paese intero (non solo al Nord), con il federalismo, una chance per meglio concepire, dopo 150 anni, la nostra unità nazionale e un'alternativa all'assistenzialismo per cercare di risolvere la questione meridionale?
2 comments:
puzi, lei sta scherzando, vero? è sarcasmo fine il suo
Ottima analisi. L'anonimo non ha capito un tubo.
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