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Thursday, January 27, 2011

Un '48 arabo, tra insidie e opportunità

Su taccuinopolitico.it

Per la seconda volta in due anni le piazze mediorientali richiamano Obama alla realtà
E' davvero una «febbre contagiosa», ed è lo stesso virus, quello che dalla Tunisia sembra diffondersi anche all'Egitto? E' possibile che la repentina caduta di Ben Alì possa provocare un «effetto-domino democratico» sui regimi del mondo arabo? Di certo c'è che le "piazze arabe" non si sono ancora incendiate contro l'America o l'Occidente, per la guerra in Iraq o chissà cosa, ma come molti avevano predetto si stanno incendiando contro i loro dittatori, preoccupate per le loro condizioni di vita di cui incolpano non noi occidentali, ma i loro governanti. Certo, aumentano gli attacchi contro i cristiani, l'estremismo islamico è ben presente e operativo, e di tanto in tanto in piazza scendono folle indottrinate alla causa antisemita e/o antiamericana. Ma le vere "piazze arabe", quelle che protestano in massa in questi giorni, sono piene di giovani e persone normali che poco o niente hanno a che fare con i partiti e le ideologie, e che semplicemente sono stanche degli autocrati che da decenni opprimono e malgovernano i loro Paesi.
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Da Il Foglio:
«Dal 1979 gli Stati Uniti versano in media due miliardi di dollari l'anno all'Egitto: il prezzo del pane - che oggi è una delle chiavi della protesta - è stato a lungo calmierato grazie a soldi americani; il mercato petrolifero funziona grazie alla partnership commerciale fra i due stati e 1'80 per cento delle spese militari dell'Egitto sono a carico di Washington. A parte Israele, nessun alleato al di fuori della Nato riceve una tale quantità di denaro. Soltanto le associazioni civili per la promozione della democrazia sono state tagliate fuori dal finanziamento a pioggia e la gente che al Cairo si batte contro il governo ha l'aria di una piccola nemesi per il realismo immobilista di Obama».
Il problema è che Mubarak non ne ha per molto, che la successione del figlio Gamal appare sempre più improbabile - e comunque sarebbe una soluzione debole, senza le necessarie basi di consenso, neppure all'interno del regime - e Washington è in tremendo ritardo nell'elaborare una strategia per il dopo-Mubarak. Non può più difendere lo status quo, né può abbandonare dall'oggi al domani il regime, aprendo un vuoto che verrebbe riempito quasi certamente dall'islamismo. Imporre serie riforme politiche e favorire l'ascesa di una nuova classe dirigente "liberale", filoccidentale e legittimata democraticamente, sono impegni che richiedono molto tempo, e che avrebbero richiesto tutt'altra consapevolezza.

Intanto, domani i partiti di opposizione egiziani (Fratelli musulmani, il "liberale" al-Ghad ed El Baradei) tenteranno di assumere la guida della protesta.

1 comment:

@__skunk said...

O.T.
gli altri paesi guardano con preoccupazione alla crisi egiziana, per occupare il nostro ne basta una, finta.