In un editoriale di qualche giorno fa Piero Ostellino ricordava al ministro Tremonti che «il controllo della spesa pubblica non è un fine in sé, ma il mezzo per liberare la crescita economica», e che «senza rigore non c'è sviluppo, ma senza sviluppo si piomba nella collettivizzazione della povertà». E al ministro suggeriva una lettura quanto mai appropriata, il Program for Economic Recovery del 1981 di Ronald Reagan: riduzione della spesa, della tassazione sul lavoro e sul capitale, e deregulation. Un miraggio qui da noi, soprattutto da quando con la crisi gli statalisti hanno potuto sfogare le loro frustrazioni contro il libero mercato e le politiche liberiste.
Nella sua risposta, comunque positiva, Tremonti ha abilmente dribblato il tema della riduzione della spesa e della tassazione, per concentrarsi sulla deregulation, che in un Paese come il nostro non sarebbe sufficiente ma sarebbe già tanto.
Il ministro parla di «bulimia giuridica», una «follia regolatoria ormai divenuta tanto soffocante da creare un nuovo Medioevo», che però a suo avviso non si può sciogliere per «abrogazione», «delegificazione», o «semplificazione», come è stato tentato in passato, ma «si taglia con un colpo di spada». Cioè, «con una norma che dia efficacia costituzionale e definitività al principio di responsabilità, all'autocertificazione, al controllo ex post, estendendoli con la sua forza obbligatoria a tutti i livelli dell'ordinamento, superando così i problemi del complicato riparto delle competenze legislative».
Ben venga una simile riforma, ma non serva come alibi per ritardare le tante che si possono - e si devono - fare nel frattempo. Tremonti non dimentichi una cosa: il suo immobilismo rigorista, pur prezioso e probabilmente sufficiente a farsi preferire agli arroccamenti antistorici del Pd e della sinistra, non basta però a rilanciare il nostro Paese e a "passare alla storia".
Oggi, sul Secolo, Fini interviene nella discussione tra Ostellino e Tremonti vestendo i panni del liberale e dicendo anche cose giuste. Peccato che il suo sia ormai un pulpito poco credibile. Quando si presentò, non molti anni fa, l'irripetibile occasione di realizzare la più importante riforma fiscale di sempre, fu proprio Fini infatti (insieme a Casini) a dare una spallata a Tremonti e a far sbagliare al governo di allora un calcio di rigore decisivo. Insomma, non mi pare che possa essere Fini ad alzare il ditino. Per giunta proprio adesso che, con l'intervista a la Repubblica di ieri, comincia la sua grama vita di doppione di Casini, costretto ormai a seguirne le mosse centriste come un'ombra. La sua critica alla politica economica del governo sembra impietosa: il Paese è fermo, sfiduciato, la ripresa non si vede. Ma ci va piano con Tremonti - nonostante il ministro venga additato un po' da tutte le parti come il vero freno alle riforme - non sia mai che possa decidere di smarcarsi da Berlusconi e quindi tornare utile.
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