Da taccuinopolitico.it
Nonostante la tragedia del popolo libico e il rischio caos, le opportunità che rischiamo di non vedere
La Libia rischia di diventare nelle prossime ore e nei prossimi giorni una nuova Bosnia, alle porte – questa volta meridionali – dell’Europa: per la crudeltà e l’efferatezza con cui la dittatura si accanisce contro la sua stessa popolazione; per la guerra civile e la frantumazione del proprio territorio cui rischia di andare incontro; e per la nostra ignavia di occidentali. Nonostante tutti i nostri apparati di sicurezza e di intelligence, e le nostre elefantiache burocrazie, ci facciamo trovare sempre un passo, se non due passi, indietro agli eventi. E così, mentre massacro dopo massacro in Libia si avvicina la fine del regime, e quindi dovrebbe essere per noi l’ora delle decisioni e dell’azione, prendendo almeno in considerazione l’uso della forza, invece a Washington e a Bruxelles si esprimono altisonanti condanne e si minacciano inutili sanzioni. Parole e sanzioni non basteranno a salvare vite umane dalla carneficina di Gheddafi.
Nonostante gli orrori, e il fondato timore di un’ondata migratoria epocale e di derive islamiste, proprio alla luce degli enormi interessi in gioco dovremmo intravedere in questo critico momento di instabilità anche straordinarie opportunità: quella di coniugare stabilità e democrazia nella regione; e in particolare per noi italiani in Libia la prospettiva, attesa invano per oltre 40 anni, di trattare i nostri affari e i nostri interessi energetici con interlocutori più affidabili e rispettabili di Gheddafi. Sembra mancare, invece, la consapevolezza delle possibilità che si sono aperte e, di conseguenza, la determinazione necessaria per cercare di concretizzarle. Ed è un deficit di comprensione che non riguarda solo l’Italia, ma anche l’Europa e l’amministrazione Obama. Il sostegno occidentale alle dittature arabe “moderate” ha alimentato quei sentimenti antiamericani e antieuropei che con quel nostro sostegno ci illudevamo di contenere. E così oggi non solo continuiamo ad essere malvisti dagli integralisti islamici, ma gli egiziani rimproverano all’America l’amicizia con Mubarak, i tunisini ai francesi quella con Ben Alì e i libici a noi italiani quella con Gheddafi. Molti avevano previsto diversi anni fa che la fine dei regimi dittatoriali del Medio Oriente – e non la questione israelo-palestinese – era la chiave di volta della regione. Ma anche per i ritardatari quanto avvenuto prima in Tunisia poi in Egitto dovrebbe far suonare la sveglia.
Ci sono volute ore, se non giorni, per comprendere ciò che alla maggior parte degli osservatori, ma a ben vedere a chiunque fosse minimamente informato e dotato di buon senso, direi in contatto con la realtà, appariva ormai chiaro, e cioè che la sorte di Gheddafi era ormai segnata ma che, conoscendolo, non avrebbe esitato a versare tutto il sangue necessario per restare aggrappato al suo potere. Ci si poteva chiedere “se” il virus delle rivolte che in queste settimane si è diffuso in tutto il mondo arabo avrebbe contagiato o meno anche la Libia. Ma una volta contagiata, chi poteva davvero illudersi che Gheddafi avrebbe retto all’urto laddove persino l’autocrate più solido della regione, e anche il più “moderato”, Hosni Mubarak, aveva dovuto abbandonare?
E invece abbiamo parlato di «non ingerenza» e di «riconciliazione», mentre la repressione già si manifestava in tutta la sua disumanità, e troppo tardi abbiamo condannato le violenze ed espresso «vicinanza al popolo libico». Il governo italiano ha dato l’impressione di credere che Gheddafi avesse, o potesse comunque riprendere, il controllo della situazione, e sottovalutato la possibilità che reagisse con una brutalità tale da rendere insostenibile qualsiasi velleità non-interventista. Un doppio errore di valutazione che solleva interrogativi inquietanti sull’operatività dei nostri servizi segreti e sulle comunicazioni tra questi e chi deve prendere le decisioni, cioè il governo. Eppure, non sono così tanti i Paesi in cui abbiamo interessi economici e strategici di tale portata. Possibile che nessuno abbia informato il ministro Frattini e il presidente Berlusconi che la situazione in Libia (soprattutto alla luce di quanto già avvenuto in Tunisia e in Egitto) era sul punto di esplodere? Che nessuno fosse consapevole delle numerose e autorevoli defezioni che ci sarebbero state nell’esercito e tra i ministri di Gheddafi – il presupposto per la riuscita di qualsiasi rivoluzione? E possibile che nessuno avesse saputo dell’intenzione del raìs di non badare al sangue versato? Un deficit di lettura degli eventi e intuito politico da rimproverare non solo al governo, ma a tutta la politica nazionale. Si continua a polemizzare sui baciamani, su chi si è fatto fotografare con chi, ma nessun contributo concreto, di analisi e sul “che fare”, né tanto meno alcuno spirito bipartisan, è giunto dalle opposizioni.
Per l’Italia un’occasione sciupata sotto molteplici aspetti: avremmo potuto contribuire attivamente (anche solo proteggendo la vita dei civili dalle rappresaglie aeree del regime) alla caduta di Gheddafi, dimostrando così al popolo libico che all’Italia interessa “la Libia”, a prescindere da chi è al potere; e giocare un ruolo di leadership in Europa come mai forse nella storia recente. Invece di farci paralizzare dalle paure, avremmo potuto essere noi italiani a dire agli altri, Stati Uniti compresi, cosa fare per gestire la crisi. L’Italia avrebbe potuto, e dovuto, porsi alla testa dei Paesi occidentali nel chiedere un intervento rapido e concreto. Una no-fly zone poteva essere decisa lunedì sera ed è essere già operativa oggi. Far alzare in volo i nostri caccia per impedire a quelli del Colonnello di bombardare la popolazione; colpire obiettivi strategici per assestare l’ultima spallata al regime; né sarebbe assurdo prepararci ad un intervento di terra, che vada dall’aiuto umanitario e dalla protezione delle risorse energetiche al peace-enforcing. Non sarebbero affatto visti dai libici come atti di neocolonialismo. Potremmo invece scrollarci di dosso la nostra cattiva reputazione di “amici” del loro aguzzino.
Pur essendo fondata la preoccupazione per l’integrità della Libia, così come il timore per possibili derive islamiste e un esodo epocale verso le nostre coste, non agire, consentire a Gheddafi di fare “tabula rasa”, accrescerebbe tali rischi. Bisogna capire con urgenza che a questo punto il Colonnello va fatto cadere. E non solo per sintonizzarci al più presto con la nuova realtà che sta emergendo in Libia, ma per scongiurare concretamente la pur minima possibilità che resti al potere. E’ improbabile che vi riesca, ma se così fosse correremmo il rischio di danni permanenti al flusso di petrolio e gas dalla Libia, sia da parte del regime come forma di ricatto, sia da parte dei rivoltosi come atti di sabotaggio. Non abbiamo compreso subito cosa stava accadendo, per anni siamo rimasti schierati dalla “parte sbagliata della Storia”, ma siamo ancora in tempo per saltare sul carro dei vincitori – se non altro per “opportunismo”. Bisogna agire in fretta. Purtroppo, però, adesso che se ne comincia appena a parlare, e che a Washington, a Parigi e a Londra pare non si escluda nemmeno un intervento militare, l’Italia rischia di restare ai margini nel proprio “cortile di casa”.
2 comments:
siamo sicuri che ci siano 10mila e 50mila feriti ?
Speranze vane.
http://www.repubblica.it/politica/2011/02/25/news/la_russa_diserta_il_vertice_della_nato_mi_spiace_ma_c_il_voto_di_fiducia-12894424/?ref=HREA-1
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