Alla fine Mubarak ha ceduto, ha lasciato la presidenza. I poteri, secondo quanto pare di capire, passano non al suo vice Suleiman, ma allo stato maggiore dell'esercito, istituzione pilastro del regime, con in mano un terzo dell'economia. Adesso viene il difficile. Perché se in questi giorni, un po' da parte di tutti, dalla piazza del Cairo ai media, fino alla Casa Bianca, è stata enfatizzata a dismisura la sorte personale di Mubarak, come se l'addio del raìs fosse di per sé la garanzia di un reale cambiamento, adesso probabilmente le piazze si svuoteranno, l'attenzione mediatica tenderà a scemare, e si capirà finalmente che partita stanno giocando l'esercito, e le varie anime al suo interno, e i Fratelli musulmani, che fino ad oggi hanno tentato di dissimulare la loro agenda radicale (aiutati anche dai media occidentali).
Gli Stati Uniti ne escono comunque con le ossa rotte. Né modello ideale e attori del cambiamento per chi aspira ad un Egitto democratico - tardivo e strumentale è apparso il sostegno al «popolo», quando le opposizioni sono state snobbate fino a ieri; né alleati affidabili agli occhi di un eventuale nuovo autocrate e delle capitali arabe "amiche". L'amministrazione si è fatta trovare impreparata, ansiosa di inseguire gli eventi piuttosto che capace di condizionarli. Una prova di debolezza da riscattare al più presto. L'agenda di politica estera perseguita da Obama per oltre metà mandato si è rivelata per la seconda volta come minimo inadeguata, se non contraria alla corrente della storia del Medio Oriente. C'è solo da augurarsi che Obama abbia imparato la lezione, che intenda almeno provare seriamente a indirizzare la transizione, che riprenda la Freedom Agenda per cercare di sfruttare questa svolta in Egitto come la prima tessera (la seconda, a dire il vero) di un domino democratico. E che si sia convinto che la strategia vincente in Medio Oriente può davvero essere la democrazia. Altrimenti, la sua presidenza potrà davvero essere ricordata come quella di Carter.
2 comments:
parafrasando f.d. roosevelt possiamo dire che er un figlio di p...... ma era il nostro figlio di p......
raf
Si scrive Mubarak, si legge Berlusconi, ecco perchè si enfatizza la caduta del faraone egiziano, almeno in Italia. E' l'ennesima prova della cialtoneria e del provincialismo della stragran parte del mondo giornalistico e politico italioti. Il signor Obama è forse troppo occupato a cercare di far cadere il Premier per le sue pericolose relazioni con Putin. Perchè la Russia è un regime, mica come l'Arabia Saudita davanti al cui re Abdullah il pagliaccio della Casa Bianca si profonde in inchini.
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