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Saturday, July 09, 2005

Me lo ha detto D'Alema

E' per sottolineare le divisioni politiche all'interno del centrosinistra sui temi del terrorismo, della politica estera e di sicurezza, che oggi Il Foglio ha gioco facile a mettere in contrapposizione D'Alema e Rutelli da una parte, Prodi dall'altra. Certamente le divisioni sono reali: D'Alema e Rutelli non sono Prodi. Tuttavia, l'articolo di ab, per sostenere questo schema, vi racconta un altro D'Alema rispetto a quello che ha parlato alla Festa dell'Unità di Roma giovedì scorso. I virgolettati sono fedeli, per carità, ma non riporta affatto le cavolate sulla politica estera americana e le mezze verità sull'uso della forza che ha dato da bere alla gente presente.

Né dal resoconto di ab emerge il dato politico del suo intervento: compiacere una platea di militanti non ancora pronta per un'analisi più realista e spingere la candidatura proprio di Prodi a premier. Insomma, per la sua "operazione" Il Foglio avrebbe avuto bisogno di tutt'altro intervento del presidente Ds, magari di questo del 3 maggio scorso, ma ha dovuto accontetarsi di quello che c'era lavorandoci un po'. Come faccio a saperlo? Si dà il caso che io giovedì sera c'ero e ho un'interpetazione autentica. Ho raccontato tutto su L'Opinione di oggi, più o meno come segue.

Giovedì sera ho parlato con Massimo D'Alema. Sì, io, un signor nessuno, all'incontro pubblico alla Festa dell'Unità di via Ostiense, a Roma, l'ho avvicinato e gentilmente gliene ho dette quattro, anzi due. Sono andato perché dopo i tragici fatti di Londra mi aspettavo che il presidente praticasse una terapia a forti dosi di realtà al popolo della sinistra. Mi sbagliavo. «Siamo tutti londinesi», aveva detto nel pomeriggio Fassino, ma sugli stand un tripudio di bandiere arcobaleno della pace. Union Jack neanche per sbaglio. Le solite favole a cui non crede più neanche lo stesso D'Alema hanno infiammato la platea. Gli anziani per il richiamo alla tradizione di un «grande Partito Comunista», i più giovani per la tirata anti-busciana che fa sempre figo.

Tesi sostenute da D'Alema. Parte bene, sostenendo che «il terrorismo è nemico della democrazia, dell'Occidente e dell'umanità... non è la protesta dei poveri, ma l'odio, il fanatismo ideologico contro la democrazia, la libertà». Poi si perde: nella difesa della democrazia l'Europa è «più coerente» degli Usa; «la guerra non ha fermato il terrorismo, che è ancora più pericoloso e feroce»; «la partecipazione italiana alla missione in Iraq è stato un errore, così come invadere l'Iraq, che è diventato una delle culle del terrorismo quando prima non lo era».

"Avete visto? La guerra in Iraq è stata un errore". Che sarebbe stato questo il ritornello di molti politici e commentatori di sinistra all'indomani della strage di Londra, senza dire che per i terroristi l'Afghanistan vale lo stesso, me lo aspettavo, e D'Alema non si è sottratto: la guerra a Saddam è stata un errore, ha creato più terrorismo, e non c'era l'Onu. Solo che nelle rivendicazioni, da sempre, e anche stavolta, i terroristi fanno riferimento anche all'Af-gha-ni-stan. Londra è stata punita per la guerre in Iraq e in Afghanistan. E per evitare la stessa punizione, Italia e la Danimarca devono ritirarsi tanto dall'Iraq quanto dall'Afghanistan.

Il saggista liberal Paul Berman, autore di "Terrore e Liberalismo" e del prossimo "Power and Idealists" (dove sostiene che la sinistra pronta a usare la forza per proteggere i diritti umani e sconfiggere il totalitarismo islamico è la vera erede dei radicali degli anni '60) spiegava a Christian Rocca:
«La rivendicazione dei terroristi ha descritto la strage come una risposta alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Attenzione: non solo in Iraq, ma anche in Afghanistan. La stessa cosa dissero dopo Madrid. L'idea che l'Iraq e l'Afghanistan siano un'unica guerra è molto chiara a Bush, Blair e ai loro alleati. E' chiara alle persone comuni come me ed è chiara alle cellule di al Qaida in Europa. Non è chiara soltanto a una parte dell'occidente».
Ma fin qui non è che mi aspettassi altro. Ciò che mi aspettavo è che D'Alema parlasse alla gente della svolta che c'è stata, persino lui in altre sedi ben più appartate l'aveva riconosciuta, nella politica estera americana: dalla realpolitik alla democrazia come parametro e interesse strategico. E, dunque, che parlasse dell'esportazione della democrazia e della libertà in Medio Oriente come una sfida che una sinistra liberale deve raccogliere non escludendo l'uso della forza. Invece, ho dovuto sentire che il terrorismo non si combatte con la forza militare ma con la politica e l'intelligence, salvo poi denunciare i "rapimenti" dei terroristi da parte della Cia; che l'11 settembre è stato utilizzato come «pretesto» dall'amministrazione Bush e dai neoconservatori per rompere la legalità internazionale e attuare una politica che come unico scopo ha l'unilateralismo e la potenza fini a se stessi.

Quando a cena, ritrovandomelo a un paio di tavoli dal mio, gli ho avanzato questi appunti, mi ha risposto che sai, la platea, non hai visto... era incerta anche sul richiamo a Bush come leader di un grande paese democratico nostro alleato, e ai terroristi dall'altra parte come nemici. E' già tanto aver potuto dire questo, era il senso, visto che la platea era assai pacifista e lui, D'Alema, da asso della politica, l'ha intuito alle prime battute e ieri sera gli interessava spingere Prodi.

Siccome sono previdente, quando il 3 maggio scorso, due mesi fa, a un incontro della Fondazione ItalianiEuropei ho sentito alcune parole che hanno indotto molti a pensare che fosse stata infranta la «legge dei vent'anni», quella che vuole i leader della sinistra riconoscere gli errori di analisi e di strategie dopo solo, appunto, vent'anni, quelle parole me le sono appuntate, sicuro che le avrei riutilizzate in tempi magri. In quella sede D'Alema riconobbe che l'Onu è impotente e va cambiata radicalmente, che l'uso della forza non può mai essere escluso, che il multilateralismo non è quello di Chirac, che l'idea neocon di espansione della democrazia è giusta, che Blair è un grande della sinistra. Ecco le sue parole

Salutando la "svolta", fu il direttore del Riformista Antonio Polito, il giorno successivo, a scrivere parole che ieri mi sono tornate alla mente come premonitrici:
«Per convincere le famose masse, per tirarsi indietro la propria gente (alibi spesso usato per giustificare le prudenze conservatrici del passato) bisogna non solo annunciare il nuovo verbo, ma praticarlo, farlo diventare senso comune, affermarlo con una vera e propria pedagogia. Crederci, in una parola... La pedagogia è credere in quello che si dice, e dirlo anche quando è impopolare, non solo quando è ormai verità accertata dalla storia».
Giovedì sera purtroppo, il verbo non è stato praticato anche se gli eventi, e la "platea", lo richiedevano.

A infastidire non sono le veniali ipocrisie, o i toni da campagna elettorale, ma l'alto senso di irresponsabilità prima di tutto nei confronti della propria gente, trattata come gregge. Di fronte ai propri elettori che si baloccano dietro slogan facili come pace-pace-pace!, D'Alema non ha avuto l'unico coraggio di cui un leader deve essere dotato. Almeno alla sua gente, dire la verità. Dire le cose come stanno. Un leader ha, prima del dovere, la convenienza di suscitare nei propri supporter un'adesione consapevole e responsabile, non dettata dall'ignoranza. "Io - è invece l'approccio prevalente - vi dico quello che vi volete sentir dire così mi votate, poi al potere, che è una cosa seria, lo gestisco come si deve". E' questo il motivo per cui la sinistra non può ancora esprimere un proprio candidato al governo del Paese. E' questo il motivo per cui esiste la legge dei vent'anni. Quando i leader scoprono di aver sbagliato, quando vedono come stanno le cose, ci mettono per lo meno vent'anni a parlarne al loro popolo.

6 comments:

CM said...

caro jimmomo, hai ragione

ciao

Anonymous said...

Ottimo. ti ho linkato il pezzo.

Ma D'Alema, e tanti altri come lui, non ricorda il detto CHI SEMINA VENTO RACCOGLIERA' TEMPESTA?

Poi non vengano a lamentarsi se il contenitore "unificante" è pieno solo del "peggio del peggio" dei contenuti unificanti...

La realtà è che "vinceranno" astenendosi dal dire alcunchè.
Astensione clericofascista a destra, astensione irresponsabile a sinistra.
WOW!

Anonymous said...

D'Alema è una maschera. E' un finto grande politico italiano, ma è solo una mezza figura politica, che fa finta di essere autorevole, sostituendo l'autorevolezza con la superbia, la decisione con la supponenza, il carisma con lo snobbismo.

ciao, watergate2000

Anonymous said...

Ma lui si occupa di cose più serie! Cosa gli vai a parlare di politica estera: lui è indaffarato con la vela!

aa

Anonymous said...

bello.
io il fatto che l'onu non sia andato in iraq, come ragione del terrorismo proprio non lo capisco.

va bè. unico appunto: paul berman - ne ho letto sul taz (una sorta di manifesto pubblicato a berlino con tiratura nazionale) - identifica nella sinisra che tira le pietre (questa è la violenza) quella che si può battere per i diritti umani.. (il riferimeno esplicito è a joschka fischer)

Anonymous said...

Ma noooo...
"un vero leader segue il suo popolo" e D'Alema fa questo! altro che ruolo delle elite avanguardia della rivoluzione, il lider maximo dà ai trinariciuti quello che vogliono.
Tutto qui...