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Sunday, July 03, 2005

Una cosa alla volta

Dunque, non ce l'eravamo inventato noi. Furono Gasparri e Buttiglione (due ministri) a dire in piena campagna referendaria: «E ora la legge sull'aborto». E ci vedemmo giusto quando sostenemmo che al Vaticano quelle dichiarazioni non fecero piacere, perché ogni cosa a suo tempo.

Dopo la telefonata di ringraziamenti di Ruini a Maroni, a dimostrazione di quale sia il livello di condizionamento delle gerarchie cattoliche sulla classe politica italiana, e dell'ossequiosa obbedienza da parte di essa, eccovi l'aneddoto che Maurizio Gasparri ci racconta candidamente nel corso del suo intervento all'assemblea di An all'hotel Ergife. Una telefonata delle gerarchie per invitarlo a non rimettere subito in discussione la legge sull'aborto: «Mi hanno chiamato dal Vaticano dopo che avevo sostenuto che la 194 è modificabile e mi hanno detto: "Una cosa alla volta"». Testuale.

Cosa vi dicevamo? La legge sull'aborto torna in discussione. Mica possono attaccare la 194 sulla punta delle baionette. No, il percorso è lungo, devono preparare il terreno, chiedono di aprire una discussione... laica e ragionevole naturalmente. Prime tappe, una commissione per verificare l'attuazione della legge e dotti articoli dei laici devoti. Quando mai una legge non può essere ridiscussa? Ci chiamano secolaristi dogmatici se abbiamo da obiettare, ma i loro argomenti sono sempre gli stessi, identici a trent'anni fa. Si parte verificando l'attuazione della legge, si finirà con una proposta di legge restrittiva e umiliante per la coscienza delle donne.

Giuliano Ferrara non si sottrae, anzi ha già avviato la sua battaglia culturale ricorrendo al prode Giovanni Orsina. Il punto debole di qualsiasi ragionamento sulla materia sta nel fatto che qualcuno si senta sempre in diritto di giudicare il livello di responsabilità con cui le donne ricorrono all'interruzione di gravidanza, di pesare la loro coscienza a etti. Occorre controllare, e impedire forme di controllo delle nascite e di eugenetica.

Abbiamo ripetuto più volte che di controllo delle nascite e di eugenetica si può parlare solo in presenza di precise imposizioni da parte dello Stato. Non mi sembra il nostro caso, visto che le decisioni più delicate sulla vita sono ad oggi lasciate alla libera scelta (alle volte irresponsabile, ma chi ha il diritto di affermarlo?) dei cittadini. E così non può che essere.

Quanto all'aborto, Ferrara ci invita a sottoscrivere una doppia tesi che sembra suggestiva: 1) le donne hanno diritto di non abortire clandestinamente; 2) la società ha il dovere di contrastare l'aborto con ogni mezzo. Con ogni mezzo. Qui sta l'imbroglio. Nessun fine giustifica ogni mezzo. Se con ogni mezzo significa negare alla donna l'esercizio della propria libertà/responsabilità di coscienza allora c'è di che preoccuparsi. E si torna al punto di partenza: la legge 194, che riconosce la tutela del nascituro, ma è nata proprio per bandire quell'ogni mezzo.

Di fronte alle palesi ingerenze del Vaticano sulla vita politica e istituzionale del nostro paese, è curioso leggere editoriali terzisti come quello di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, dove denunciare e contrastare ingerenze sotto gli occhi di tutti viene definito vieto e vetero anticlericalismo. Prendiamo questo passaggio emblematico:
«Questa versione edulcorata e irenico conciliatoria del dibattito pubblico si fonda però sul pregiudizio che le forti convinzioni e le rivendicazioni orgogliose della propria identità siano in quanto tali ostacoli al dialogo e persino alla convivenza tra fedi e culture diverse. Prevale l'idea che la nettezza delle posizioni significhi il contrario dell'auspicabile comunicazione tra diverse visioni del mondo. Si impone in forme surrettizie la pretesa che il dialogo sia un'eterna mediazione, un incessante stemperarsi, un autodepotenziante infiacchirsi e che, per poter entrare nel novero delle opinioni rispettabili, queste stesse opinioni devono trovare una forma sbiadita e compromissoria».
Direste che intende difendere «le forti convinzioni e le rivendicazioni orgogliose della propria identità» dei laici da chi le vorrebbe in «versione edulcorata» e politicamente corretta per metterle da parte più agevolmente. E invece è il contrario, accusa i laici di pretendere dalla Chiesa un atteggiamento fiacco e compromissorio. E' ciò che Biagio De Giovanni osservava ieri su il Riformista:

«Solo in Italia, che io sappia, il discorso intorno al rapporto fra religione e politica ha preso la piega che ha preso, per cui veniamo a sapere che la laicità va bene, purché sia "sana", e per essere così deve adeguarsi a un'etica, e questa etica deve avere dietro di sé una religione, e questa religione deve essere quella cattolica. Ovvero, se la logica deduttiva ha un senso, che la laicità può esser "sana" solo in orizzonte cattolico».

Sfido chiunque a negare che sia questo il senso delle parole di Papa Ratzinger, e ormai anche del presidente Pera. Allora chi vorrebbe ridurre a «versione edulcorata» e compromissoria le opinioni altrui?
«Si potrebbe dire, riproponendo un tema dimenticato, che il vaticano ha sede in Italia e nonostante la globalizzazione la cosa pesa ancora, e la Cei lo sa benissimo e va accentuando, com'è ben noto, elementi interventisti. Da Machiavelli e Guicciardini fino a Benedetto Croce, era ben noto quale peso avesse la presenza del vaticano direttamente nella storia d'Italia».
Ma oggi il tema non può neppure esser ricordato, o discusso, pena vedersi rivolta contro l'accusa di fare dell'obsoleto anticlericalismo. Eppure, il tema c'è e bisognerebbe riprenderne coscienza: pesa «come un macigno nel dibattito italiano, e anche su questo fronte l'anomalia italiana rischia di diventare ingovernabile».

JimMomo su il Riformista anche ieri:

Gentile direttore, in America, ci ha raccontato Tocqueville in lezioni trascurate dai suoi presunti ammiratori oltretevere, la religione cristiana ha saputo conservare «maggior potere sulle anime» che in Europa. Legando la propria autorevolezza alle leggi che regolano la convivenza civile e ai poteri terreni, la Chiesa «sacrifica l’avvenire in vista del presente e, ottenendo un potere che non le spetta, mette a repentaglio il suo potere legittimo». Ancora: «Alleandosi a un potere politico, la religione aumenta il suo potere su alcuni uomini, ma perde la speranza di regnare su tutti», di «aspirare all’universalità» e di poter «sfidare il tempo». Quando la religione «vuole appoggiarsi agli interessi mondani, essa diviene fragile come tutte le potenze terrene. Legata a poteri effimeri, segue la loro sorte e cade spesso insieme alle passioni passeggere che li sostengono… Più mutevoli, instabili, volatili sono le opinioni politiche e le fazioni al potere, più debole la religione che si lega a essi». Per Ratzinger e Ruini ancora molto da imparare da Tocqueville. Cordiali saluti
Federico Punzi e-mail

4 comments:

Anonymous said...

Che noia....

la 194 andrebbe applicata. E ancora di più bisognerebbe smetterla di considerarla una legge di libertà.
E' un'ottima pezza ad un dramma umano.
Applichiamola e lasciamoci sto referendum alle spalle...

Anonymous said...

... e poi il divorzio ...

e poi il rogo!

Diego said...

:)
nice

Diego said...
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