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Friday, December 04, 2009

Pulpiti inattendibili

Fa una certa rabbia leggere una lettera come quella che il direttore della Luiss, Pier Luigi Celli, ha scritto al figlio laureando, suggerendogli di fuggire dall'Italia: «Figlio mio, lascia questo Paese». «Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio... Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi». Fa rabbia perché nel complesso non si può dargli torto, se l'avesse scritta un padre qualsiasi, ma il pulpito da cui viene la predica non è di quelli più credibili, essendo corresponsabile del male che denuncia, e il destinatario - con tutto il rispetto per un ragazzo che magari ha tutte le carte in regola e non gli occorrono raccomandazioni - non credo tuttavia sia tra coloro che più possa soffrire della situazione denunciata dal padre.

Non ho seguito il dibattito che ne è scaturito e non so chi si sia espresso a favore o contro. Dico solo che accanto ad alcuni argomenti fondati, nella lettera si leggono tante sparate demagogiche, e nessuna indicazione sulla via da intraprendere per uscire da questo stato di cose. «Senso di giustizia», «voglia di arrivare ai risultati», «l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro», tutto questo, dice il padre al figlio, «ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica». Celli continua additando i compensi dei portaborse, di veline e tronisti, di quel manager che ha alle spalle «fallimenti che non pagherà mai». Un Paese, continua Celli nella sua lettera, «in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico». Per questo, conclude, «il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati».

La mancanza di meritocrazia, il "familismo", le raccomandazioni, certo, come dargli torto. Ma Celli se la prende anche con l'individualismo e il capitalismo, cita il caso Alitalia - e come non vedere che in qualche modo, così pare trapelare dal testo, c'è l'"era berlusconiana" sul banco degli imputati - ma neanche una parola su uno degli ambienti meno meritocratici e più familisti del Paese, quell'università e quell'accademia da cui Celli proviene. Intollerabile, ma a conferma dei nostri dubbi sul pulpito, il fatto che Celli assolva il sistema educativo italiano, le università, in cui ha avuto e ha egli stesso un ruolo di primissimo piano. Ospite di Rainews24 per parlare della sua lettera, infatti, ha l'ardire di sostenere che «l'università italiana, e in particolare la Luiss dove lavoro, che è l'Ateneo di Confindustria, ritengo che assicuri un buon livello di preparazione dei nostri giovani». Il problema sarebbe dopo, nel «precariato». Peccato che nelle più autorevoli graduatorie internazionali nessuna università italiana compaia tra le prime cento.

Chiunque lamenti la mancanza di meritocrazia, il "familismo" e la politicizzazione esasperata per spiegare il declino italiano, l'inefficienza dei servizi e la chiusura ai giovani, è poi chiamato anche a indicare la ricetta giusta: meno Stato, più mercato; meno assistenzialismo, più competizione. A cominciare dalle università, proseguendo con il mercato del lavoro e la sanità. Riforma dell'assetto proprietario degli atenei e del fondo ordinario statale; professori che non producono, a casa. Celli è d'accordo? Altrimenti non si capisce di cosa parliamo.

7 comments:

Anonymous said...

Meno stato, più mercato?
Per ritrovarci in un paese come gli Stati Uniti in cui si cura solo chi può permetterselo?
Il caso Alitalia? Un'azienda regalata ai privati, con nessun beneficio per i cittadini italiani: solo l'onere dei debiti.
I professori, a mio avviso, non devono produrre nulla: devono dedicarsi all'insegnamento. Le università ricercano, le aziende producono.

In una nazione priva di legalità, impregnato della mentalità di stampo mafioso del "favore" e delle conoscenze, non mi sorprende che persone come Berlusconi siano al governo da tanti anni. I cittadini sono come lui, se non peggio.

Una strada per uscire? Creare un profondo senso civico, diffondere la cultura della legalità e della correttezza. Un lavoro che durerebbe anni e nessuno si sogna di iniziare: troppo scomodo avere un popolo di persone oneste in grado di valutare.

Anonymous said...

vabbé...pure celentano ed eco...minacciarono l'italia tutta di...abbandonarla.

stanno ancora tra le palle, invece...

ciao.

io ero tzunami

Anonymous said...

La classifica cui si fa cenno nel post la dice lunga: nessuna delle nostre università è fra le migliori del mondo. E non è che ci voglia uno studio approfondito per rendersene conto.
Certo: meno stato e più privato. Perchè sia chiara almeno una cosa: Alitalia l'ha ridotta così la pluridecennale gestione pubblica, consociata ad un sindacalismo becero e corporativo.
I "favori" e le "conoscenze" vigono soprattutto nel settore pubblico, dove nove volte su dieci entri se sei un cameriere, pardon, un attivista di partito. E dove diventi forestale in Calabria, dove prima di vedere un albero passano anni.
Domandina: perchè Celli ha avuto primari ruoli manageriali in aziende pubbliche? La sua militanza politica non c'entra? Allora, si potrebbe avere un minimo di ritegno prima di darsi ad esternazioni banali, scontate, populiste. Tanto valeva dire "piove, governo ladro!".

Anonymous said...

ritegno ?
a rai news 24 ?
quelli dell'inchiesta sul raggio rimpicciolente di Bush ?

ahahha
fantascienza.
.
saluti ...........Mauriziosat

Anonymous said...

"Chiunque lamenti la mancanza di meritocrazia, il "familismo" e la politicizzazione esasperata per spiegare il declino italiano, l'inefficienza dei servizi e la chiusura ai giovani, è poi chiamato anche a indicare la ricetta giusta: meno Stato, più mercato; meno assistenzialismo, più competizione"

come in america no? dove le cariche presidenziali si passano da padre in figlio.

JL

Anonymous said...

Meno stato e più mercato nella sanità, certo, come negli Usa, dove per garantire le cure anticancro ad una delle figlie, una famiglia priva di un'assicurazione adeguata, deve farsi rifinanziare il mutuo e indebitarsi a vita (fatto vero); dove all'aereoporto di NY trovi un signore distinto che elemosina con appesso al collo un cartello con su scritto: "ho una malattia alla tiroide e non ho i soldi per le medicine"; dove il presidente (che non credo possa essere considerato un antiamericano) considera la riforma della sanità l'obbiettivo principale della sua amministrazione. La sanità deve essere PUBBLICA, PUBBLICA, PUBBLICA! I problemi della nostra sanità in alcune regioni del paese sono seri e vanno affrontati, ma non è la gestione pubblica in sè il problema, altrimenti a genova o a ravenna dovremmo avere la stessa sanità che si ha a lamezia terme, a canicattì la stessa qualità dei servizi offerti a Copenaghen!

Riguardo all'università, attenzione a mitizzare i sistemi tipo quello Usa, l'istruzione superiore per i figli è una delle cause di quel livello di indebitamento delle famiglie statunitensi che ha portato alle recente crisi, e ricordiamoci che l'istruzione non è un vizio o un lusso, come l'iphone. Riguardo poi la ricerca UNIVERSITARIA, questa in tutto il mondo, USA compresi, si fa se i piccioli li mette lo STATO!

JimMomo said...

D'accordo anonimo, sanità pubblica. Però non voglio sentire lamentele sulla gestione: se dev'essere pubblica, è la politica che deve gestirla. E chi se no? Quindi non ci meravigliamo se i politici mettono i loro uomini. Fanno bene, visto che PER LEGGE ne hanno la responsabilità.