«People power wins in Ukraine», secondo due autorevoli teorici della nonviolenza, Peter Ackerman e Jack DuVall, che scrivono sul Boston Globe:
«When the people realize they have the power to expose the deceit underlying a government prone to repression, it is the beginning of that regime's end».Il contributo della nonviolenza nella vittoria della rivoluzione arancione viene sottolineato anche da Adrian Karatnycky, di Freedom House, in «People power triumphs in Ukraine», su NewsDay.
L'Europa ora, scrive sul Times Anatol Lieven, del Carnegie Endowment for International Peace, ha ragioni sia morali che strategiche per spingersi fino all'Ucraina. Una scelta che rappresenta, insieme alla possibile adesione della Turchia, un nuovo "dilemma" per l'Europa.
Quella della democrazia promossa dall'occidente e della voglia di libertà dei popoli è una nuova realpolitik che sta prendendo piede nell'Europa ex sovietica, e di cui anche Putin ha sperimentato la forza dirompente. Il 24 dicembre Il Foglio forniva una lettura molto convincente di ciò che rappresenta la rivoluzione arancione:
«Il voto popolare non è soltanto un diritto, è anche e soprattutto un'urgenza. La piazza "orange" di Kiev l'ha pacificamente dimostrato... La realpolitik continua, come è giusto, ad avere il suo senso, ma è oggi arricchita dalla volontà popolare di avere un peso, l'urgenza della democrazia».«I voti contano... i frutti si vedono in tutto il mondo... il vento della democrazia soffia su tutta la Terra», sottolinea Giuliano Ferrara:
«I grandi cinici che ritengono che sempre tutto si allineerà alle ragioni di Stato delle grandi potenze, devono incassare l'esito. L'espansione della democrazia, iniziata alla fine degli anni Ottanta con la caduta del Muro di Berlino, ha subito una fortissima accelerazione dopo l'11 settembre del 2001, quando gli americani hanno scelto lo sviluppo della libertà come loro principale obiettivo. Gli equilibri geostrategici basati sull'appoggio a questa o quella autocrazia, gli occhi chiusi di fronte ad aggressivi e feroci dittatori come Saddam Hussein, sono stati messi in secondo piano rispetto all'esigenza di conquistare dovunque libere elezioni che siano di per sé baluardo contro il terrorismo...Una lettura completata da altri due articoli. Il «domino dell'Est», sui movimenti democratici e nonviolenti già entrati in azione in Serbia, Georgia, Ucraina, e che potrebbero colpire presto anche in Bielorussia; Il «contagio del Sud», su come l'esempio indiano e alcune nascenti democrazie africane potrebbero sfatare il falso mito delle "democrazie impossibili", confermando così anche le tesi dell'economista indiano, e premio Nobel, Amartya Sen, sostenute nel libro "Lo sviluppo è libertà. Perché non c'è crescita senza democrazia".
La paura, il terrore, il fanatismo sono forze potenti, in certe condizioni invincibili, ma quando la gente comune avverte di potere contare si convince che le grandi decisioni debbano dipendere anche dai suffragi dei singoli, questa consapevolezza avvia una dinamica che supera ostacoli formidabili».
«Le democrazie – sostiene Michael Ignatieff nel suo ultimo libro "The Lesser Evil" – commettono spesso l'errore di sottovalutare la propria forza. Nel corso della storia le democrazie hanno saputo vincere guerre, prevalere su tirannidi e totalitarismi e resistere al ricatto terrorista...Tuttavia, non bisogna mai dimenticare che:
Negli ultimi decenni, il progresso della democrazia ha sfatato un altro mito diffuso, l'idea, di origine marxista, secondo la democrazia liberale nasce e cresce soltanto in presenza di determinate condizioni socio-economiche... Peraltro, in diversi paesi africani – dal Sud Africa al Senegal, dal Mali al Botswana, dal Kenya al Ghana – negli ultimi dieci anni, dopo la caduta del Muro di Berlino e con la fine dell'influenza sovietica, la democrazia ha fatto passi in avanti, timidi e incerti sì, ma importantissimi e anche inattesi visto che, nello stesso periodo, la situazione socio-economica e sanitaria avrebbe indotto al pessimismo».
«Povertà e mancanza di sviluppo non estinguono l'anelito di libertà, ma creano una situazione da cui i più spregiudicati sanno spesso trarre vantaggio. E, se si può essere fiduciosi sulla capacità delle democrazie di resistere al terrorismo degli omicidi politici e, anche, degli attentati suicidi, non possiamo dare per certa la sopravvivenza di leggi e istituzioni democratiche in un paese sottoposto ad attentati persino con armi di distruzione di massa. La democrazia va favorita in medio oriente e riconosciuta e difesa in India, in Africa, in Europa orientale, senza dimenticare l'Europa occidentale».
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