Esiste infatti il paradosso logico di come può colui che è associato a qualcosa esserlo solo "esternamente". Esiste poi il problema giuridico di un reato che colpisce una libertà costituzionalmente garantita, la libertà di associazione, mentre a definire illecita un'associazione non dovrebbe essere un aggettivo, ma precisi fatti criminali che però - quando isolati e individuate le responsabilità - sarebbero sufficienti a sanzionare il reo e, in caso, a sanzionarlo se quei fatti ne dimostrano l'appartenenza ad una organizzazione criminale.
Ma Ostellino intende andare oltre queste ambiguità e denunciare la cultura politica che ha partorito questo mostro giuridico, indivuduando «due diversi modi non tanto di guardare alla funzione della Giustizia quanto al tipo di società nella quale si vuole vivere».
«Il primo modo pone al centro della sua speculazione l'individuo e la sua libertà. Il secondo pone al centro della sua speculazione la società e la sua necessità. E allora è forse venuto il momento di alzare il tiro e, invece di scandalizzarsi di fronte all'ambiguità dei casi di associazione "esterna" alla mafia, di denunciare una cultura politica che, sul piano del diritto, rivela la sua natura intimamente illiberale. Dalla Costituzione ai Codici la Patria del Diritto è immersa in una zona grigia, pre-ordinata secondo una precettistica meta-giuridica che, lasciando al potere margini di interpretazione amplissimi, gli consentirebbe di trasformare il Paese...
Il magistrato che condanna per eccesso di legittima difesa l'esercente che, per difendere il proprio diritto di proprietà, ha ucciso il rapinatore ubbidisce al criterio meta-giuridico che minacciare la proprietà non è come minacciare la vita. Lo stesso criterio secondo il quale, per il pacifista, neppure la difesa della libertà giustifica il ricorso alla forza. E' questa la società nella quale vogliamo vivere?»
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