«Sono lusingato dal fatto che ieri Marco Perduca abbia usato il mio articolo del 25 maggio (L'oleodotto della libertà) per riprendere il filo della sua discussione con Angiolo Bandinelli, Daniele Capezzone e Christian Rocca sulla politica estera americana, cominciata mesi fa sul forum di radicali.it.Ora, magari dovrei riprendere dall'inizio tutto il dibattito, ma è possibile arrivare all'osso, all'oggetto misterioso che si cela dietro queste discussioni. Anche semplificando, perché a volte, e alla lunga, le grandi analisi sono fuorvianti. Da una lato c'è chi ritiene Bush, i neocon, l'America parte del problema, dall'altro chi ritiene che siano parte della soluzione. Da una parte, una concezione morale della politica come strumento di governo della realtà; dall'altra una concezione moralistica della politica come strumento di un fine ideologico, nella quale resistono pregiudizi nei confronti del denaro e del capitalismo. In breve, quando ci sono di mezzo petrolio e interessi qualcuno si scandalizza e non ci vede più.
Lusingato e anche un po' imbarazzato, non foss'altro che per la domanda "è questa una lettura Radicale?", che mi prende un po' in contropiede dato che il direttore di NR, generosamente, non mi ha mai commissionato esercizi di ortodossia radicale, né con la "r" minuscola né, tanto meno, con la "R" maiuscola. Mi basterebbe aver messo assieme una lettura utile a provocare un buon confronto; e forse un pochino ci sto riuscendo».
Lo scenario è il Caucaso, sono le ex repubbliche sovietiche, alcune recentemente protagoniste di rivoluzioni democratiche e nonviolente sostenute dagli Stati Uniti, a livello governativo, ma soprattutto non-governativo (e in misura molto, molto minore dall'Ue). Su questo sfondo la recente inaugurazione dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan alla presenza del segretario di Stato Usa e altri esponenti di governi della regione e occidentali. Ne ha scritto esaurientemente Tapparini.
Questi interessi petroliferi, sostiene Perduca, dimostrano «come la promozione della libertà e della democrazia altro non sia che un paravento per il consolidamento della presenza dei tentacoli occidentali nel Caucaso». Cioè, siccome c'era di mezzo l'oleodotto, la politica americana nel suo complesso (da Bush a Soros) che ha determinato la rivoluzione delle rose in Georgia è criticabile? Ben vengano, questi «tentacoli occidentali», a me la «promozione della libertà e della democrazia» realizzata in Georgia, in Ucraina e in Kirghizistan non sembra così fasulla, ma reale, tangibile e contagiosa. Il risultato delle "ingerenze" americane è apprezzabile e "morale" se i nuovi regimi sono effettivamente più democratici e liberali dei precedenti. Gli interessi? Solo a nominare questa parola a qualcuno vengono i brividi. Oddio, cosa ci sarà sotto? Quale sordido complotto? Quale immorale guadagno?
Intanto, l'Economist ci spiega che «l'America si è messa alla testa di un'azione di lobby finalizzata alla costruzione di oleodotti che bypassino la Russia, in modo da impedire ai russi ogni chance di sfruttare l'energia come un'arma politica». Beh, mi pare buono. Ci piaccia o no il petrolio è ancora una risorsa energetica e geostrategica fondamentale. E dover dipendere, per il nostro approvvigionamento, dalla Russia, che non si sa quali sviluppi politici potrà avere nel prossimo futuro, o dall'Arabia Saudita, che potrebbe finire sotto il controllo dei Bin Laden, non mi lascia per niente tranquillo. Ma come fare in modo che i preziosi giacimenti di petrolio del Medio Oriente e del Caucaso non cadano nelle mani di Al Qaida? La risposta dei neocon non è né quella di sfruttare la complicità di dittatori amici, né quella di sottomettere tutte le popolazioni arabe. La risposta è democratizzare la regione.
E ora vi spavento ancora un po'. Il petrolio c'entrava con la determinazione anglo-americana a togliere Saddam Hussein di mezzo? Certo che c'entrava, ma non in termini di guadagni, quanto in termini di sicurezza. Gli americani si sono accorti che commerciare con le democrazie è conveniente e divertente, e che quasi mai cercano di distruggerti sfruttando le ricchezze del loro territorio. Ci possiamo permettere, noi occidente, di lasciare nelle mani di regimi come era quello di Saddam in Iraq, o di lasciar cadere sotto il controllo dei fondamentalisti islamici, immense ricchezze petrolifere i cui proventi serviranno per attaccare le nostre città e i nostri popoli, o il cui uso politico servirà a strangolare le nostre economie?
Prima di rispondere ricordate che ne va della solidità economica e politica del mondo libero, senza la quale, le multinazionali certo perderebbero molti dei loro "sporchi" guadagni, ma il mondo intero avrebbe molte meno speranze di sconfiggere la tirannia. Siamo disposti a crepare tutti per non vedere qualcuno arricchirsi? Io questi rischi non sono disposto a prendermeli.
Dell'intreccio esportazione della democrazia-interessi non ci sarebbe da fidarsi perché chi la propugna poi non la sostiene coerentemente dappertutto, ma solo qua e là a corrente alternata come gli conviene. L'impossibilità di spazzare via d'un sol colpo tutte le dittature della terra non è un buon argomento per sostenere che non si debba iniziare, e non prova la malafede americana. Spesso tocca fare i conti con le situazioni reali. Tipo: assenza di opposizione democratica, violenza del regime. Evidentemente ignorando come le situazioni si stiano evolvendo e le politiche si stiano sviluppando, Perduca è sfortunato nel prendere a esempi di popoli che sarebbero lasciati da Bush al loro destino i bielorussi e i kazaki, proprio i popoli di due regimi che potrebbero essere presto inquadrati dal mirino di Washington.
Insomma, non possiamo finire di nuovo nella scorciatoia mentale di criticare Washington quando annuncia di voler eliminare la tirannia dal mondo mettendolo a soqquadro per intero, e poi criticarla se non agisce contemporaneamente contro tutte le tirannie. Cos'è, una presa in giro? Se il fine che si realizza è il commercio del petrolio con Stati sovrani e democratici, e il mezzo è la dottrina del regime change (con l'uso della forza come ultima risorsa) che abbatte regimi autocratici, a me sta bene, sempre se, come dicono i radicali, è il mezzo che determina il fine, e non il fine che giustifica i mezzi.
2 comments:
Sorry, ma a casa mia smentite e autocritica non abitano. Forse non ci si intende, o si continua a leggersi al volo. Tapparini e Punzi mi “interpretano” non per quello che ho scritto di pensare, bensi per quello che ritenevo, ritengo, essere il fulcro del ragionamento di Alessandro nel suo “Oleodotto delle libertà” (magari il titolo non gliel'ha dato lui...), fulcro che egli non smentisce, ma ampia e rafforza in altri interventi successivi.
Ora, se quelle dovessero essere letture Radicali, e il dubbio ancora non l'ho risolto, mi si pongono pero' tutta una serie di problemi/contraddizioni politiche - e mi meraviglio sorgano solo a me che non ho mai sposato posizioni neocon o busciane – relative alla loro convivenza con retorica della piattaforma della “promozione della liberta' e delle democrazia”. E questi problemi/contraddizioni mi si pongono proprio perché ci viene spiegato con dovizia di particolari quale sia il “movente” dell'interesse statunitense in quella parte del mondo. Per far contento Turko, ma non lo faro' :P, potrei aprire il capitolo America latina e la faccenda si arricchirebbe di esempi ulteriori, che forse andrebbero ad aggravare, e su piu' piani, la faccenda... ma veniamo a noi.
Punzi mi chiede “credi che la promozione della libertà e della democrazia da parte dell'amministrazione Bush serva come «paravento» di altri interessi? E quindi per questo i radicali non dovrebbero mostrare favore, o interesse, per tale promozione?” e aggiunge “Perché a me, e ad Alessandro, è sembrato che tu avessi scritto proprio questo. Infatti, quando scrivi «Tapparini... ci dimostra, non credo involontariamente, come la promozione della libertà e della democrazia altro non sia che un paravento...», sei tu a far dire ad Alessandro cose che non ha detto. E infatti, come ti ha risposto? «A me non pare» che sia un "paravento"”.
Tapparini ci spiega anche cosa intende per “paravento” e dice che “di solito si definisce 'paravento' qualcosa di falso, fittizio, simulato. In questo senso, quell’affermazione presupporrebbe che la “promozione della libertà e della democrazia” realizzata in Georgia, in Lituania e in Kirghizistan sia solo una messinscena, una copertura. A me non pare”. Tapparini pero', che e' pensatore onesto, continua dubitativo scrivendo “che quelle azioni non siano “partite dal basso”, ma abbiano avuto impulso grazie allo zampino americano (suggerimenti, finanziamenti, addestramenti, coordinamenti…), è pure un fatto ormai incontroverso. Allora, il punto è se ci il risultato di quelle intromissioni americane sia apprezzabile, dal punto di vista dei radicali: cioè se i nuovi regimi sono effettivamente più democratici e liberali dei precedenti, oppure no. Se sì, l’accusa di “gattopardismo” avanzata da Perduca è quantomeno ingenerosa. Se no, è giustificata.”
Forse si tratta di metterci d'accordo da che parte si vuole iniziare ad affrontare la faccenda, ma mi pare che in generale i dubbi, come pure i punti in comune tra le nostre riflessioni, restino in abbondanza.
La domanda di Federico mi pone un problema di linguaggio che non posso non accennare, e non lo evidenzio per dare patenti di ortodossia ;-), ma “mostrare favore o interesse” non mi paiono termini da lotta politica radicale, ma forse oggi mi son alzato male io :D. Detto questo però, e tenute in considerazioni anche le dimensioni del confronto Radicali-Amministrazione Bush, io, che faccio i miei sforzi di attenzione e lettura 360 gradi, resto non convinto dell'efficacia del messaggio della “dottrina Bush” (come la chiama Rocca). Parlo di messaggio, perche', come scrive sempre Tapparini, esso e' parte integrante della politica, perché ne vuole rappresentare/veicolare l'essenza.
Il mio problema e' che quel messaggio, tanto quanto la politica che vuole riassumere, ed e' un problema che cerco di pormi non da opinionista di Notizie radicali, ma da militante radicale (esponente una bella cippa ;-) e' che le effettive misure prese da Bush per tradurre quel messaggio in azioni politiche mal si coniugano con la retorica. Lascio da parte, anche se non dovrei, la guerra in Iraq, ma credo che per risultare credibili di fronte a un'audience mondiale fatta di buoni e cattivi, occorra fare lo sforzo di esercitare la propria leadership praticando quotidianamente anche a casa propria quel che si dice - e l'Amministrazione Bush, in cinque anni, ha dato ampia dimostrazione di non essere una delle Amministrazioni USA tra le piu' liberali degli ultimi tempi (questo non significa che lo fosse Clinton...;-). Moral values, proposte di emendamenti costituzionali, minacce di veti eccetera eccetera alla lunga erodono la credo le credenziali liberali e lo fanno in un terreno dove dovrebbe essere tradizione e sostrato favorevoli a scelte di senso radicalmente opposto. Questa erosione, pubblicizzata da un buon numero di cittadini americani via internet (per esempio) mal si combacia col ruolo di coloro che si candidano a promuovere la liberta' e democrazia minandone la credibilita'.
Potrei ripetere la (lunga) lista delle misure illiberali adottate da Bush, gia' offerta nella mia lettera al direttore di NR l'altro giorno, ma evitero' di appesantire ulteriormente la lettura di questo lungo testo (notare che, per carita' di patria, non ho menzionato il famigerato patriot act, che, seppure niente appetto alle nostre legislazioni d'emergenza, sicuramente dato un bel colpo d'ascia al principio dello habeas corpus, che poi fu il motivo scatenante della ribellione delle colonie d'oltre oceano nei confronti della corona inglese), mi pare pero' piuttosto evidente che l'audience mondiale, dagli Appennini alle Ande, al Caucaso, quella che magari non arriva alla raffinatezza delle “nostre” letture, non ne e' stata altrettanto convinta.
Quindi, per tornare alla domanda, a me, come a Tapparini e/o all'Economist, sembra che il piano di Washington sia chiaro: promuovere gli interessi degli Stati uniti, della piu' grande e “aperta” tra le societa' e mercati del mondo, interessi che si traducono nel garantirsi le risorse energetiche necessarie per mantenere tale leadership. Se questo fosse, e, ripeto, mi pare che in molti si tenda a concordare che cosi' sia, a me sta bene. Non c'e' niente di immorale o amorale. Quel che pero' a me non torna (da li' il mio gattopardesco) e' il perche', in questa ondata di cambiamenti che sono necessari a far sí che il mondo divenga corrugato ben benino, e nella direzione giusta, non si colga l'occasione EPOCALE di promuovere realmente quanto riassunto dai “padri fondatori” degli odierni Stati uniti alla fine degli anni 70 di 300 anni fa e cioe' la nozione e affermazione delle liberta' individuali e di un sistema di meccanismi (con pesi e contrappesi) costituzional-istituzionale capace di farle applicare e difenderle dai piu' svariati attacchi nazionali e non. Di portare finalmente avanti una rivoluzione liberale globale!!!
Certo si son portati seggi elettorali laddove c'erano campi di concentramento, si puo' pregare o abbigliarsi come meglio si ritiene opportuno (anche se poi chi da quelle parti ci vive e/o lavora ci racconta storie un po' diverse), si sono dati soldi a destra a sinistra (tranne che al povero Kok Ksor... chissa' perché) per promuovere tecniche di resistenza nonviolenta e di know how democratico (sarebbe lungo addentrarci nella storia e mandato della NED), si sono spese altrettanti quattrini del contribuente statunitense per mettere in piedi una poderosa grancassa mediatica di tutto questo, ma allo stesso tempo non s'e' fatta una riforma liberale che fosse una a casa propria, anzi con le storia delle faith based iniziative s'e' addirittura aperto un rischioso capitolo di finanziamento pubblico delle organizzazioni religiose e via di questo passo...
Io non mi “accontento” di qualche tiranno in meno - anche perché provate a immaginarvi cosa sarebbe il mondo senza due tirannie che non rientrano nei piani americani e cioe' Arabia saudita e Cina – e quindi ritengo che i Radicali pur nel continuare a “mostrare favore o interesse” per la persuasione neocon, si dovrebbero a candidare a fare altro. (segue)
Visto che continui con questa cosa sgradevole delle "letture" o "scritture radicali" (a quando la scopata radicale? c'è pure quella?), è bene che ti dica una cosa.
A me non me ne frega nullaaaaa, lo vuoi capireeee. Fai sempre questa premessa "identitaria" per rafforzare le tue argomentazioni di fronte alla "comunità" dei militanti radicali. Avrai pure più pedigree di me, anzi sei certamente più autorevole di me, non ti preoccupare, lo dichiaro qui davanti a tutti una volta per tutte: ascoltate Perduca perché di cose radicali ne sa più di me. Senza ironia, lo dico perché ci credo davvero e non ho problemi ad ammetterlo. Accetto che tu sottolinei questa cosa, ti dico solo che a me non mi tocca, ma capisco che per altri la precisazione possa essere utile.
«... che i Radicali pur nel continuare a "mostrare favore o interesse" per la persuasione neocon, si dovrebbero a candidare a fare altro».
Ecco, concordo al 100% con questa affermazione, e mi pare che caspita, si fa molto altro, viste le battaglie in cui è sacrosantemente impegnato oggi il partito.
«le effettive misure prese da Bush per tradurre quel messaggio in azioni politiche mal si coniugano con la retorica».
Posso concordare anche con questa affermazione. Infatti, di errori e cose incoerenti ne ha fatte (io parlo di quelle in politica estera perchè le conosco di più), però mi pare che rischiamo piuttosto di non cogliere l'occasione epocale di un'amministrazione repubblicana che per la prima volta fa un po' meno di realpolitik ed è un po' più impegnata proprio nella "rivoluzione liberale globale". Non sarà abbastanza, sarà per interesse, ma è già tanto rispetto alle altre amministrazioni Usa, è tanto di più di quella Clinton.
Dici, il fronte interno. Siamo d'accordissimo, ma mica svendo le mie idee solo per difendere cosa fanno Bush o i neocon in America. Chemmefrega, me pagano? (magari ). Solo che, sarà miope, ma io sto in Italia, e il dibattito sulle cellule staminali è esempio emblematico: oltreoceano non è vietato nulla e parlano se stanziare o no fondi federali per quella ricerca (io sono per il sì, è chiaro, è "radicale"), ma qui dobbiamo strappare la libertà persino di condurla coi soldi miei e tuoi la ricerca. Permetterai che sia un tantino più interessato? Sono sicuro poi che se c'è un "caso America", gli americani non hanno - per ora - bisogno di nostre tutele per affrontarlo. Poi sarò pure pronto a dargli una mano se me la chiedono, come loro ce l'hanno data 60 anni fa.
Rimango persuaso però che sul piano della politica estera Bush, sia pure con errori e incongruenze, che tra l'altro i neocon hanno spesso in anticipo segnalato (tu mi pare che troppo spesso li identifichi), stia facendo meglio di qualsiasi altro e che dovremmo guardare la trave negli occhi nostri (europei) prima della pagliuzza nei suoi. Tu stai a NY e ti appassiona cosa succede lì, lo capisco, ma trovo la suggestione per il "caso America" secondaria rispetto ai casi Italia ed Europa, veri e propri malati terminali.
ciao
Post a Comment