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Tuesday, September 06, 2005

Alla Chiesa non basta la «sfera pubblica»

«Il tentativo di usare le istituzioni per puntellare la propria influenza nella società»

Mi ponevo questo interrogativo in un post precedente: siamo sicuri che la religione è relegata al privato ed espulsa dalla sfera pubblica? Possiamo affermarlo con davanti agli occhi tutti i mega-eventi, la vitalità dell'associazionismo cattolico, l'esposizione mediatica del Papa, editoriali, film, trasmissioni, sceneggiati, dedicati a temi religiosi? Proprio qui, dove il Concordato riconosce alla Chiesa un rapporto privilegiato con lo Stato, benefici culturali e finanziari?

La risposta arriva oggi da Marco Politi, in questo articolo su la Repubblica.
«Esponenti ecclesiastici amano ripetere che la società moderna vuole racchiudere solo nel privato le istanze religiose. E' davvero così? Se lo spazio pubblico è quello della società civile, allora mai come in quest'epoca il terreno è spalancato alle iniziative delle comunità religiose. Possono fare tutto. Creare cooperative, imprese, ospedali, scuole, giornali, televisioni, radio, enti e organismi i più svariati. Il panorama italiano nella svolta di millennio testimonia il pullulare vitalistico di movimenti e iniziative. La stessa libertà vale per gli altri paesi occidentali».
Gli ecclesiastici lamentano l'espulsione della religione dalla sfera pubblica, mentre è esattamente il contrario. Nelle società democratiche e secolarizzate contemporanee la libertà ha reso la la religiosità più vitale e, certo, libera. Se nessuno impedisce alle chiese «di agire nel pubblico», evidentemente «è il consenso che manca».
«Dio è diventato plurale nel cuore degli uomini. L'Individuo modula e modella il suo sentire religioso. Per le Chiese istituzioni svaniscono le rendite di posizione. Non c'è più famiglia, scuola, stato, costume, tradizione, esercito, azienda che plasmi il singolo nella "fede dei padri". Ogni anima è da conquistare. E intanto l'offerta religiosa – affiancata da molte altre credenze e filosofie – si è talmente dilatata che centinaia di milioni di credenti vivono sostanzialmente un mix di religione-fai-da-te e di norme tramandate dalle fedi istituzionali».
L'«individuo contemporaneo vuole scegliere e diffida istintivamente di ogni forma di autoritarismo». E questo è un bene. C'è da chiedersi se «in Italia la Chiesa cattolica sia pronta a riconoscere fino in fondo questa nuova situazione segnata dalla libera scelta delle coscienze». Purtroppo, sembra «forte» nella gerarchia ecclesiastica «la tentazione di non affidarsi pienamente alla creatività dei credenti» o alle capacità «di attrarre consensi». Assistiamo invece, a un «neo-costantinesimo strisciante»:
«Il tentativo di usare le istituzioni per puntellare la propria influenza nella società».
Segue lungo elenco di esempi dei puntelli.

2 comments:

JimMomo said...

Evvabbè, mi pare che sul mio blog ne parlo abbastanza di terrorismo, islam, iraq, democratizzazione del medio oriente e temi connessi. Se però non si parla di nient'altro, allora facciamo una brutta fine.

Io poi sono per applicare all'islam gli stessi principi di laicità che vorrei applicare alla chiesa. Se invece applichiamo alla comunità islamica la logica vigente dei concordati, dei privilegi, dell'8 per mille, allora la frittata è fatta. Quindi vedi che forse non è proprio "fuori tema"?

Anonymous said...

Leggo sempre con interesse i tuoi post in materia religiosa, anche perche' personalmente e da sacerdote mi interessa capire le posizioni laiche. Ma, perdonami, mi pare che ci sia sempre un fraintendimento di fondo quando si parla di Chiesa e di Chiesa Cattolica.
L'idea della separazione tra stato e chiese e' dei padri Costituenti americani, procede da un lato dalla pluralita' (e conflittualita' interna) delle diverse confessioni protestanti, dall'altro e' una garanzia PER le chiese contro uno stato aggressivo come lo fu il Regno Unito.
Non e' una garanzia di per se' contro le persecuzioni religiose, come seppero bene i cattolici americani, perseguitati o discriminati attivamente fino a cinquant'anni fa.
Un criterio del genere vuol essere applicato in Italia? Va bene, ma non puo' essere indiscutibile, esattamente nel senso di un "relativismo" buono (cioe' non assoluto) che riconosca l'assai diverso contesto europeo ed italiano.
Un ultima osservazione: il Cristianesimo e la Chiesa (che si definisce come la continuazione della presenza di Cristo nella storia) sono pubblici per definizione. Gesu' stesso nel Vangelo invita ad annunziare "gridandolo dai tetti", a testimoniare quando chiamati a giudizio davanti ai re ed alle corti. Certo e' poi storicamente diverso il modo di incarnarsi di questa "pubblicita'" della Chiesa, ma non si tratta di calcolo politico (che poi c'e' stato e ci potra' essere). Si tratta di essenza. Cedrto puo' dar fastidio o meno, ma pretendere che non esista o sia un abuso e' falso.
Saluti.
don Stefano, Washington DC