Il concetto è ben espresso da Emma Bonino, in un'intervista a la Repubblica:
«Non dubito che con quei soldi il Pd non abbia fatto festini, magari avrà fatto concerti di musica classica. Tuttavia, vede, non è una questione - come dire - di eleganza. Il nodo è che i soldi quando arrivano al gruppo vengono utilizzati come fossero di proprietà privata. Sono destinati alle esigenze dei consiglieri, ma non a quelle della comunità. Poi se queste esigenze sono di farsi una biblioteca, pubblicare opuscoli o di ingaggiare escort questo dipende dai gusti che, per definizione, sono personali. Dire "non potevamo darli indietro" è penoso. Potevano. Anzi: dovevano».
Come anche qui ho cercato di spiegare, la questione è di etica pubblica, non di costume, o di "estetica" e gusti privati. Riguarda tutti, non solo il Lazio e non solo il Pdl. Soddisfa gli istinti più demagogici inveire sul peccatore e sul suo squallido spaccato, ma non porsi la domanda di come debellare, o almeno frenare, il peccato. Non è una differenza meramente concettuale. Nel primo caso si tende a individuare la soluzione nei controlli (quindi più spesa e più burocrazia), mentre i rimedi sono altri: abolire i finanziamenti pubblici ai partiti, in qualsiasi forma, e livellare gli stipendi degli eletti al pil pro capite degli elettori.
E responsabilizzare le autonomie, in modo che ogni euro che spendono hanno anche la responsabilità di andarselo a trovare e di farselo consegnare. Come scrive Luca Ricolfi, su La Stampa:
«Se il federalismo è vero federalismo, non può piacere al ceto politico. E se piace al ceto politico, è perché non è vero federalismo».
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