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Tutto secondo previsioni. E' stato un agosto thriller, con il governo costretto a varare una seconda pesante manovra in pieno Ferragosto, dopo quella di luglio, per anticipare al 2013 il tentativo di pareggio di bilancio (mossa che su questo blog avevo definito prima opportuna, fin dalla presentazione della prima manovra, poi necessaria, vista la bocciatura dei mercati e la drammatica crisi in cui si stavano avvitando i nostri titoli di Stato). Presi dal panico, ci sono arrivati il 13 agosto, ottenendo così l'ossigeno della Bce. Attaccati ad una maschera ad ossigeno è l'immagine più appropriata per descrivere la situazione dei nostri titoli di Stato. Sbaglieremmo, infatti, a sentirci fuori pericolo.
E' innegabile che dal vertice di ieri ad Arcore la manovra ferragostana sia uscita migliorata, lievemente ma in modo quasi insperabile alla vigilia. Cancellate le due nuove aliquote Irpef (altro che «contributo di solidarietà»!); esclusa la sciagurata ipotesi di un aumento dell'Iva; l'abolizione delle Province - tutte - così come il dimezzamento del numero dei parlamentari inseriti in un ddl costituzionale. Insomma, tolte le parti più scabrose, le misure attraverso le quali in modo solo più vistoso delle altre avrebbero messo le mani nelle nostre tasche, è troppo poco per farci mutare il giudizio complessivo sulle due manovre, che come ha evidenziato il Sole sono basate per il 70% su nuove entrate («nell'ipotesi più ottimistica», secondo la Corte dei Conti, la pressione fiscale sfonderà quota 44% nel 2014: un livello mai raggiunto prima), mentre rinviano alle "calende greche" l'innalzamento dell'età pensionabile (settore in cui una vera riforma potrebbe valere decine di miliardi), agiscono troppo timidamente sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali (le norme si prestano a troppe interpretazioni) e mantengono ingessati i mercati delle professioni e dei servizi privati. Bene che si taglino molte poltrone e buona, se verrà confermata, la parte sul lavoro, con il rafforzamento della contrattazione aziendale, che potrà derogare dai contratti nazionali persino su parti dello Statuto dei lavoratori come l'articolo 18.
Dunque, niente aumento dell'Irpef, niente aumento dell'Iva, accontentati i comuni, che subiranno molti meno tagli. Come sarà possibile tutto ciò a saldi invariati? Mancherebbero all'appello circa 4 miliardi e l'impressione è che Tremonti abbia fatto ricorso al jolly di un maggior recupero dall'evasione e dall'elusione fiscale - il che significa che dobbiamo aspettarci nuovi odiosi strumenti di polizia tributaria, dopo che è già stato oltrepassato il "Piave" dell'inversione dell'onere della prova negli accertamenti - e che intenda puntare sulla delega assistenziale e fiscale per tirar fuori i quattrini che servono (con la spada di Damocle di 20 miliardi di minori agevolazioni Irpef). Insomma, le nostre tasche non sono affatto al riparo.
L'unica nota positiva - almeno per militanti e simpatizzanti - è politica: il Pdl ha reagito, non è rimasto alle corde come un pugile suonato, ottenendo almeno di evitare i provvedimenti simbolicamente più sputtananti. Ma purtroppo la sensazione è che il danno sia ormai irreparabile. La politica economica che avrebbe dovuto farci passare indenni o quasi dalla crisi è fallita e non si può neppure dire che non siano state messe le mani nelle tasche degli italiani. Un esempio? L'aumento dell'aliquota Ires di 4 punti percentuali, al 10,5%, sul settore energetico, e gli aumenti già decisi a luglio su banche e assicurazioni, chi credete che li pagherà? E con lo sblocco delle addizionali a chi credete che chiederanno i soldi comuni e regioni, giustificandosi con i tagli subiti? Per non parlare della patrimoniale sui conti titoli introdotta dalla prima manovra. Ed è ben lungi dall'essere una nota di merito l'accingersi solo ora, solo dopo 3 anni e mezzo di legislatura e solo perché ci si è trovati letteralmente con il coltello alla gola, a realizzare due riforme - l'abolizione delle province e il dimezzamento dei parlamentari - scritte nel programma di governo.
Era e resta impensabile aspettarsi a questo punto una rivoluzione di filosofia economica da parte del governo. L'errore è stato commesso all'inizio, da chi teorizzava che durante la crisi non si potevano fare le riforme e da chi li ha lasciati fare. Dal punto di vista politico è già tanto che siano arrivate correzioni marginali ma simbolicamente importanti. Bene per il Pdl, appunto, non per il Paese.
Le due manovre infatti non invertono il paradigma italiano: in difficoltà, lo Stato preleva nuove entrate anziché incidere in profondità sulla dinamica della spesa pubblica adottando un approccio zero-budgeting. Se una manovra di rientro di tale portata ha di per sé un effetto depressivo sull'economia, anche se fosse di soli tagli alla spesa, le due varate in due mesi dal governo, proprio perché costituite quasi per i tre quarti da nuove entrate, che determinano una rilevante compressione dei redditi, rischiano di accentuare ancor di più gli effetti depressivi. Effetti che il governo non si è nemmeno preoccupato di tamponare con vigorose riforme pro-crescita, per esempio quella fiscale e un programma di liberalizzazioni e privatizzazioni a tappe forzate. Non si tratta solo di una questione di principio, ma di efficacia: una manovra per lo più di nuove entrate, con riforme strutturali troppo timide, quando abbozzate, deprime l'economia più di una di tagli alla spesa e quindi rischia di fallire l'obiettivo del pareggio di bilancio nonostante lo sfoggio di "rigore".