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Saturday, April 07, 2007

L'America ha un "Geist" ma non un "Volk"

Uno "spirito" per più popoli

«... il successo dell'esperimento politico americano si basa sull'aver creato un sistema di valori "positivi" che hanno fatto da base all'identità nazionale ma che erano anche accessibili a persone non bianche, non cristiane, né in qualche modo legate per vie di "sangue e terra" ai fondatori anglosassoni protestanti del Paese. Questi valori sono l'essenza del credo americano: l'individualismo, il lavoro come valore, la libertà di movimento e la sovranità popolare. Samuel Huntington li chiama "valori angloprotestanti", ma oggi essi sono stati divelti dalle antiche radici. Questi valori possono essere condivisi da chiunque, qualunque sia l'appartenenza etnica o la provenienza. E funzionano bene, come soluzione pratica al problema dei valori positivi».

Francis Fukuyama (Global Viewpoint, tradotto dal Corriere della Sera, 7 aprile)

Da approfondire.

Tuesday, April 03, 2007

Fukuyama si difende

Francis FukuyamaFrancis Fukuyama si difende: «Non ho mai collegato l'affermarsi globale della democrazia all'intervento americano... un cambiamento di regime imposto con la forza non è mai stato l'elemento chiave di una transizione democratica».

Ci auguriamo tutti che non si attenda che intervengano gli Stati Uniti per promuovere la democrazia, ma che sia un processo largamente condiviso e attivamente perseguito da più attori internazionali, con e soprattutto senza dover ricorrere all'uso della forza, e che sia alimentato dal basso, cioè dal desiderio e dalla consapevolezza dei popoli oppressi.

Che la forza non sia mai stata «l'elemento chiave» di una transizione democratica è più discutibile. Da una parte, è indubbiamente in grado di rimuovere gli ostacoli, ma di per sé non di garantire l'avvio di quella «serie di istituzioni complesse e interdipendenti» il cui sviluppo richiede molto tempo. Dall'altra, spesso transizioni soft, con la sopravvivenza al potere delle medesime nomenklature, tali sono rimaste, senza mai approdare a forme di democrazia compiuta, quando non hanno subito un vero e proprio riflusso autoritario.

Ma davvero questo è un campo in cui ogni generalizzazione si presta a scivolare nell'ingegneria sociale. Ogni caso fa storia a sé per la quantità praticamente infinita di fattori e variabili che agiscono su un processo che riguarda grandi territori e popolazioni numerose.

Fukuyama difende la tesi centrale del suo famoso libro "La fine della storia e l'ultimo uomo". Già il titolo si presta ad essere liquidato con sarcasmo, soprattutto se pensiamo a ciò che accadde nel settembre del 2001. E la sua tesi è davvero ambiziosa. Eppure, ho sempre pensato che ci fosse del vero, che la fotografia scattata allora valga ancora oggi.

Sosteneva che «se una società ambiva a essere moderna non vi erano alternative a un'economia di mercato e a un sistema politico democratico. Non tutte volevano essere moderne, ovviamente, e non tutte erano in grado di predisporre le istituzioni e le politiche necessarie a far funzionare la democrazia e il capitalismo, ma nessun sistema alternativo avrebbe potuto dare risultati migliori».

La fine della storia intesa come la "vittoria" sul campo - almeno secondo certi parametri, legati al benessere, allo sviluppo economico e all'ampiezza delle libertà - del modello liberaldemocratico. Seppure faticosamente, con bruschi arresti, rallentamenti e riprese, i dati dimostrano che il mondo è tutto sommato ancora incamminato verso la democrazia e l'economia di mercato.

E se è vero che non manca chi ancora oggi spinge in direzione opposta, è altrettanto vero che non ci sono ideologie e modelli alternativi credibili in competizione. I nemici della democrazia hanno certo le loro ideologie, ma sono più che altro distruttive, prive di sistematiche teorie politiche ed economiche alle spalle.

Dove invece dissentiamo profondamente da Fukuyama è nell'idea che «l'Unione europea rifletta molto meglio degli odierni Stati Uniti come sarà il mondo alla fine della storia. Lo sforzo dell'Unione europea di trascendere la sovranità e le politiche tradizionali di potere dando vita a una legalità transnazionale è di gran lunga più in linea con un mondo "post-storico" della sistematica fede degli americani in Dio, nella sovranità nazionale e nel loro apparato militare».

Qui si aprirebbe un discorso molto lungo e complesso, ma in sintesi credo che l'Europa potrà rappresentare quel modello solo se riuscirà a fondare la sua unione politica su liberalismo e federalismo, mentre mi sembra che ad oggi stia intraprendendo la strada opposta. Occorre inoltre procedere con la massima cautela con le «legalità transnazionali», perché l'esperienza storica insegna che i tentativi di superare le comunità nazionali come fonti di legittimità del potere falliscono, o danno luogo a esperimenti non democratici. La democrazia è un sistema di governo che ha dimostrato di funzionare al meglio quando ha potuto fondare la propria legittimità su dati concreti, ben definiti e ben delimitati, di popolazione e territorio.