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Saturday, May 03, 2003

Esportare la democrazia, ma non con la guerra. E' possibile
Un mio amico radicale ci parla della campagna per l'Organizzazione mondiale della democrazia e per le "armi di attrazione di massa". Infrangere le "cortine dittatoriali" con la forza dirompente dell'informazione, invece che con guerre e distruzioni per i radicali è possibile. «Tutto dipende dalle forze che i radicali riusciranno a mobilitare intorno alla loro battaglia. Perché, come sarà di già chiaro con gli emendamenti alla prossima finanziaria, o queste convinzioni e speranze saranno fatte proprie trasversalmente, anche a livello parlamentare, oppure tutto rischierà di essere tardivo». Questo è il suo articolo pubblicato su Gazzetta Politica: Leggi tutto
RadioRadicale.it

Sì, ma. Considerazioni sulle esportazioni
"Attrarre" i popoli verso la democrazia è un obiettivo sacrosanto. E' l'unico modo che finora ho ascoltato di chiedere pace presentando un'alternativa difficile, ma concreta e non impossibile, non utopistica. Un modo che non ha avuto proseliti nelle piazze poiché, si sa, la dinamica della folla fa a pugni con la ragionevolezza, che è cosa radicale e non conformista.

L'autore di questo blog crede che gli strumenti della comunicazione e dell'informazione siano "in grado di promuovere i processi democratici, aiutando i dissidenti interni, screditando i regimi dittatoriali o, fornendo informazione completa e vero dibattito in una situazione a rischio". Non credo invece che "il potenziamento dell'industria bellica" sia di per sè un danno: dipende dai contesti, dalla realtà e dall'immediatezza della minaccia per le sicurezze nazionali.
Certo sono convinto della necessità di puntare con forza sul 'bombardamento' d'informazione per battere le dittature e liberare i popoli, ma bisogna riconoscere che "nel campo delle 'armi di attrazione di massa' l'unica esperienza in corso è quella americana" e chiedersi perché.

La vera questione è infatti la convinzione di voler esportare o meno la democrazia. Questo i governi occidentali devono prima di tutto decidere. Se la risposta è sì, è necessario muoversi: sia nella direzione indicata, sia con rapporti diplomatici ed economici in cui il parametro democrazia e diritti sia effettivamente uno dei paramentri, anche se certo non l'unico, sia, come ultima risorsa, con il ricorso alla forza misurata.

Io ne sono convinto, ma osservo pacatamente che questa decisione contiene in sé un equilibrio delicato: quanto di relativismo culturale e quanto di visione etica nei nostri comportamenti. Una maggiore invasività dei valori in cui crediamo, seppure in forme pacifiche, si traduce in una scelta etica nei confronti delle altre civiltà: ci sentiamo nel giusto e ci esportiamo. E' ovvio altresì che stare a guardare mentre si compiono massacri di dignità e di diritti legittimamente ritenuti universali è assai più deplorevole e inaccettabile. E', appunto, un delicato equilibrio.
Bisogna essere consapevoli che l'invasività dei valori che ci appartengono, per quanto alcuni nobili, come e forze più delle guerre, ha prodotto e produce reazione, terrorismo. Per questo è necessario affiancare a tale esportazione di democrazia vere e proprie politiche di marketing democratico e occidentale e offrire prospettive di ricchezza, convincendo che scegliere la democrazia significa anche scegliere maggiori opportunità di benessere. D'altronde, in tutto il mondo la 'pagnotta' ha sempre il suo peso.

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