Signor presidente del Consiglio, perché dovremmo crederle?
Berlusconi, come spesso gli accade, alla fine, sbotta, come si dice a Roma, "svacca", e si sfoga come solo lui sa fare. E non va per niente bene. La sua ricostruzione storico-politica nella lettera al quotidiano Il Foglio sui dieci anni del pool milanese da 'mani pulite' a 'toghe sporche' può essere condivisibile, può reggere. Però. Però cominciano ad essere tanti i se e i ma.
La magistratura politicizzata, che combatte (da quando la debolezza del sistema politico e lo scenario internazionale lo permettono) a suon di avvisi di garanzia e sentenze i propri nemici ideologici o di casta, esiste. Tutti, nel nostro profondo, senza ipocrisie, possiamo e dobbiamo riconoscerlo, e il pool dei magistrati milanesi, da Borrelli a D'Ambrosio, da Di Pietro alla Bocassini, rappresenta l'esempio più concreto, non l'unico, purtroppo. Esiste una forte anima giustizialista che attraversa il mondo politico e l'opinione pubblica: settori della magistratura, esponenti politici, movimenti, intellettuali, giornalisti, semplici cittadini si sentono, da circa una dozzina d'anni, investiti della missione di 'ripulire' il paese, forti di una loro presunta superiorità morale. Una spinta moralizzatrice dal sapore giacobino, una jihad che troppo spesso ha provocato clamorosi errori giudiziari, condanne illustri, ma almeno altrettante assoluzioni illustri (Berlusconi è stato assolto con formula piena dal procedimento che seguì il noto avviso di garanzia ricevuto a Napoli da presidente del Consiglio), gogne mediatiche, suicidi, macerie del diritto e della dignità umana, 'ribaltoni'.
Non è questa poi, la sede per ricordare tutto ciò che rende la Giustizia italiana la più condannata in Europa, la più lenta, la più iniqua. Le sue maglie si allargano e si stringono un po' troppo arbitrariamente.
Per Silvio Berlusconi però, sta trascorrendo molto in fretta quel tempo in cui può aspettarsi di godere presso i suoi elettori di una minima credibilità politica quando lancia le sue accuse alla magistratura politicizzata. Per far pesare davanti all'opinione pubblica quelle gravi accuse bisogna costruirsi con i fatti una credibilità e un'autorevolezza politica (e sottolineo POLITICA). Proprio ciò che finora il premier non ha fatto, rendendo difficile, anche a chi condivida le sue analisi storico-politiche, credere nella sua buona fede. La mia in effetti vuole essere una considerazione dal carattere squisitamente politico e non giudiziario, né tanto meno morale (se Silvio e il suo amico Previti siano colpevoli e/o corrotti probabilmente non mi verrà dato di saperlo).
Per ora quella credibilità necessaria sembra latitare. E' innegabile che tutti i provvedimenti adottati finora da Governo e maggioranza sulla Giustizia (Cirami, rogatorie e falso in bilancio), seppure anche condivisibili nel merito, contengono in sé il corto respiro di 'toppe' per fuggire da quei processi a carico del presidente e dei suoi amici. Tali provvedimenti, con la loro vocazione 'ad personam', sono lontani anni luce da riforme organiche della Giustizia e, in particolare dell'ordinamento giudiziario, che avrebbero invece la propria vocazione nell'interesse della generalità dei cittadini a cui ci si vorrebbe richiamare. Riforme che si chiamano separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati, incarichi extra-giudiziari, formazione e progressione delle carriere possono essere criticate e combattute, ma non accusate di esser dettate dal solo interesse personale del premier.
Il legittimo sospetto nei confronti di alcune procure esiste, ma sta passando velocemente a carico del presidente Berlusconi: dimostri con i fatti, non a parole, accuse e sfoghi, che la sua azione politica per la giustizia italiana è guidata da un genuino interesse per la generalità dei cittadini e non, o non solo, per la sua salvaguardia personale. Due anni di governo ormai son trascorsi e i fatti purtroppo, avendo egli dato ampia priorità alle leggine citate e non alle grandi riforme, non gli attribuiscono la credibilità necessaria per ribellarsi a certe sentenze, o non, almeno, per farlo in nome della democrazia e del Paese. Sto parlando proprio di quella credibilità che manca, ad esempio, anche al centrosinistra quando sbraita e si svocia sul conflitto d'interessi, questione che non ha saputo-voluto risolvere nell'arco di un'intera legislatura trascorsa da maggioranza parlamentare.
Signor presidente del Consiglio, perché dunque, dovremmo crederle? Ella scrive su Il Foglio che bisogna "reagire", e "reagire per tempo", che "bisogna alzare i toni della nostra democrazia", ma se tutto si risolve nel salvare lei e i suoi amici, e non nel riformare la nostra giustizia malata, allora non la seguo e credo che così faranno anche gli italiani, che non sono filantropi, ma vogliono la 'pagnotta' delle riforme.
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