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Friday, November 18, 2005

Chiamatelo ottocentesco

Un passaggio chiave dell'intervista che Umberto Veronesi ha rilasciato oggi a la Repubblica riguarda l'eutanasia, di cui parla nel suo libro. E la sua argomentazione ribalta il modo con cui siamo abituati a confrontarci con i problemi di bioetica. Questo sì, è un tema in cui l'uomo è chiamato a riappropriarsi di se stesso rispetto a una scienza che ormai è in grado di sottrarci alla natura. Si parla di diritto a morire, ma naturalmente non si sta parlando né della bontà del suicidio né di stabilire quale vita sia degna di essere vissuta e quale no, ma solo di lasciare all'individuo la libertà di decidere come gestire un momento che fa parte a pieno titolo della propria vita: la morte.

Ma la richiesta di eutanasia non contrasta con la natura?
«La natura non ha previsto l'immortalità dell'uomo, anzi, la morte è uno dei suoi principi. Non si può rimanere in vita quando la vita non è più vita».
Eppure proprio la scienza e la medicina sembrano volerci cancellare la prospettiva della morte e la chirurgia estetica ci illude persino sul prolungamento della giovinezza.
«È vero, la medicina spesso espropria il diritto alla morte. Macchine complesse tengono in vita persone senza coscienza per settimane, mesi, anni. Questa è una vera violenza alla natura. Ma il compito della medicina non è quello di legiferare. La scienza aspetta una legge che faccia chiarezza sui limiti del suo intervento».
E' importante tutelare la «genuina volontà del paziente». Non sarà facile, ma è bene iniziare a discuterne.

1 comment:

Anonymous said...

Lasiamo la natura alla natura .. era così che dicevano?