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Friday, November 11, 2005

Banlieue. Nel neoconservatore il blairiano che non t'aspetti

Si è parlato molto di Banlieues in questi giorni e molti opinionisti hanno cercato di capire le cause più profonde dei disordini. Io mi sono limitato a raccogliere le considerazioni più sensate e alcuni dei pareri che mi hanno convinto di più, su un fenomeno che può essere letto da molti di punti di vista molto diversi tra loro ma tutti validi. Dominique Moisi (Financial Times); Giuliano Ferrara (Il Foglio), che ha usato toni blairiani («ricominciare a scommettere sul valore della democrazia politica intesa come un modo di vivere forte, sensato, bello, capace di estrarre dai giorni il loro significato»); Olivier Roy (il Giornale); Phastidio; Le Guerre Civili; Kirk H. Sowell (Arab World Analysis.com).

Tra gli editoriali più ridicoli e sbeffeggiati ha avuto grande eco quello di Rossana Rossanda su Il manifesto («La città europea è gerarchica» è la sentenza), stroncato come solo lui sa fare da Massimo Bordin nella sua rassegna stampa su Radio Radicale:
«Gli intellettuali di sinistra abitano solo nei centri storici. Pensate la Rossanda a San Basilio... no, no, non funziona...»
Mentre Prodi, lanciando un allarme periferie delle città italiane aggiorna un'altra brutta abitudine della sinistra, aggiungendo al giustificazionismo ex-post addirittura il giustificazionismo ex-ante, sempre più mi sono convinto che l'elemento etnico o religioso, o dell'immigrazione, sono aspetti secondari. Sul banco principale degli imputati metterei il modello economico e sociale francese, il cosiddetto modello renano, che proprio in presenza di criticità come i problemi dell'integrazione fa ancora più disastri: in un sistema di scarsissima mobilità sociale come quello francese, dall'istruzione superiore ai vertici delle istituzioni economiche e politiche, i privilegiati si sono chiusi in caste impenetrabili da dove sfruttano un welfare «pletorico e improduttivo». Se gli esclusi si identificano come gruppo...

Il column più concreto di tutti mi è parso quello di David Frum su Il Foglio. Parte dall'esperienza americana delle gang e delle violenze degli anni '70, ma individua le differenze e delle possibili politiche. Frum è neoconservatore, ma ci pare che rieccheggino toni alla Blair: «duri contro il crimine, duri contro le cause del crimine». Il primo provvedimento «fondamentale» è quindi «ottenere il rispetto della legge»; il secondo è la riforma del mercato del lavoro.
«Quasi i due terzi di tutti gli americani fra i 16 e i 65 anni avevano un lavoro, e milioni di immigrati arrivavano ogni anno. Gli europei spesso mostrano disprezzo per i bassi salari che l'America dà ai lavoratori non qualificati. Alcuni tedeschi e francesi pensano: "Ok. le nostre economie non saranno in grado di creare nuovi posti di lavoro, ma se ci niuscissero, sarebbero lavori ben retribuiti". Ma un posto di lavoro è ben più che un mezzo per consentire a una persona povera di mantenersi. Non c'è nulla che unisca gli uomini alla società come il lavoro e nulla che li alieni da essa come l'inattività».
Infine, il terzo aspetto, culturale:
«L'America ha accettato la realtà delle differenze tra bianchi e neri. Ma si è rifiutata di accettare la divisione e la separazione. E questo rifiuto ha aperto le porte a un'autentica unità nazionale fondata su una cultura nazionale comune. Quest'ultimo punto è il più importante. Se l'Europa vuole vivere in pace con le proprie minoranze musulmane. deve riconoscere che non è soltanto l'Europa che deve cambiare. Devono farlo anche le minoranze musulmane. Se queste minoranze sapranno adattarsi e assimilarsi, gli europei un giorno potranno ricordare le attuali rivolte come gli americani ricordano quelle degli anni Sessanta: un tragico capitolo di una storia a lieto fine».
Una segnalazione per lo speciale di RadioRadicale.it: «Parigi non brucia». Cronache, commenti, video e immagini dai blog francesi.

1 comment:

Anonymous said...

Tra le varie segnalazioni che hai linkato e il tuo articolo ricordo una frase che mi và a meraviglia:
"I disordini di Parigi non sono rivolte musulmane. Non sono nemmeno rivolte razziali. Sono esplosioni di rabbia e frustrazione da parte di emarginati e disoccupati di qualsiasi gruppo etnico "
Semplicemente. Il giorno che le rivolte avranno una bandiera, allora il problema sarà molto serio.