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Wednesday, November 09, 2005

Grosse Koalition all'italiana

Con una legge elettorale che al Senato rischia di consegnare al centrosinistra (ma a qualsiasi coalizione che uscisse vittoriosa dalle urne) una maggioranza talmente risicata da rendere ancor più decisivi i voti di Rifondazione, ci troveremo comunque di fronte a un pareggio di fatto. Da superare facendo ricorso a un nuovo voto... almeno secondo D'Alema, che però segue una logica bipolarista che potrebbe essere superata dalla reintroduzione nel sistema del criterio proporzionale. L'orizzonte politico che abbiamo di fronte rischia quindi di essere assai diverso. E qui interviene lo scenario della Grande Coalizione (!) di cui lunedì ha parlato Tremonti, non a caso a la Repubblica, probabilmente per esorcizzarlo. Secondo Oscar Giannino, nel "caso Italia" non potrebbe significare altro che «l'incubazione di una nuova Dc», con il ricongiungimento di spezzoni cattolici da destra e da sinistra e la benedizione della finanza amica e di confindustria.

Enrico Cisnetto parte da un'analisi che ci convince, cioè dalla crisi strutturale dell'Europa:
«L'Europa ha perso (finora) sia la sfida della competizione globale sia la scommessa della rivoluzione tecnologica, a favore del nuovo asse Asia-Usa intorno a cui gira il mondo... o il Vecchio Continente (mai soprannome fu così appropriato) avvia un processo di radicale trasformazione di se stesso - nuovo modello di sviluppo, nuovo capitalismo, nuovo stato sociale - o non saranno più solo i ghetti a bruciare».
Il problema del dove andare a pescare il consenso che occorre «per mettere in atto il cambiamento», «le trasformazioni epocali», chiamiamole riforme, che servono, è dannatamente reale e lo ricordava di recente anche Emma Bonino intervenendo all'ultimo congresso radicale. Un consenso così vasto e solido da rendere il governo che vi basi la propria investitura capace di «fronteggiare lo spirito conservativo, degli interessi come dei diritti acquisiti, di un po' tutti i ceti». A non convincerci proprio invece è la soluzione indicata da Cisnetto, quella della Grande Coalizione.

Paolo Mieli mette subito le mani avanti, avvertendo che in un paese come il nostro, nel quale non sono state introiettate per tempo le «sane regole» di una moderna democrazia dell'alternanza (alle elezioni si va divisi in due schieramenti, quello che vince governa e quello che perde sta all'opposizione), comunque li si voglia chiamare, «connubi, trasformismi, unità nazionali, governissimi, esecutivi tecnici, grandi coalizioni» non sono che «sinonimi di un'unica soluzione». Se poi il nobile scopo dovesse essere quello di modernizzare il paese, «non è assolutamente dimostrato (anzi) che governi di larghe intese affrontino le emergenze meglio di quanto abbiano saputo fare gabinetti di maggioranza». In Italia si è dimostrato esattamente il contrario.

Ricordiamo infatti ciò che ha scritto l'altro giorno Luca Ricolfi, il primo studioso a mettere in guardia la sinistra da quel «complesso dei migliori» che l'affligge: i «congelatori» del sistema, i difensori dello status quo «garante di privilegi, rendite di posizione, vantaggi corporativi», spuntano fuori come funghi lungo tutto il perimetro del sistema politico. Sono anche al centro, anzi soprattutto al centro, nei partiti "moderati", e non solo alle ali estreme degli schieramenti. Guarda caso i riformatori coincidono con le sparute componenti liberali nelle due coalizioni sistematicamente minoritarie. Chissà se qualcuno è in ascolto.

Il Riformista fa il pompiere: restate tranquilli, che qui di Grande Coalizione non è proprio aria. L'Italia di oggi non ha la «grandezza» e poi il clima è di quelli da guerra civile, altro che intese bipartisan:
«Il bipolarismo ha assunto da noi perniciosi e sbagliati caratteri di alternativa morale tra due Italie: come si può pensare che queste due Italie si siedano domani insieme al governo?»
I «due centri» (centrosinistra e centrodestra senza trattino) che piacciono a il Riformista sono sinonimi di cultura di governo, legittimazione reciproca, afflato bipartisan sull'interesse nazionale, «tutte cose di cui la democrazia italiana ha un disperato bisogno, non vanno confusi con il trasformismo e le manovrette di palazzo».

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