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Thursday, November 10, 2005

I mutamenti della sinistra: da crisalide a farfalla

Riprendo con ritardo questo articolo di Lodovico Festa, su il Giornale, bravo a individuare e a spiegare un particolare aspetto di quel «complesso dei migliori» (già descritto da Luca Ricolfi) che affligge la sinistra italiana. Il pregiudizio che la sinistra incarni lo Stato stesso, la convinzione che «lo Stato siamo noi».
«La politica non è più scelta tra diversi obiettivi, è pura applicazione delle regole; la linea del centrodestra non è criticabile, è "contro le regole". La lotta è tra diritto e sopruso. Tra Stato e anti-Stato. C'è tanto dossettismo in questa cultura: l'idea che la Costituzione non sia un quadro di riferimento di regole e valori, ma "un programma d'applicare" e chi non si attiene alla lettera a questo "programma" (la cui interpretazione è affidata a una ristretta cerchia di devoti) è anticostituzionale. C'è la cultura giustizialista...»
Si tratta, ha ragione festa, di una impostazione che manifesta una cultura ancora «sostanzialmente totalitaria» nella sinistra.

Un altro aspetto di quel complesso lo avevamo modestamento sottolineato noi, in quella recente «svolta che c'è ma non si deve vedere» rappresentata dalle ultime posizioni espresse da Fassino e Prodi sul ritiro dall'Iraq. L'atteggiamento tipico della sinistra che, come una crisalide che sboccia in farfalla, così diventa misteriosamente responsabile con l'avvicinarsi delle elezioni e della prospettiva di tornare al governo, e che quindi per approssimazioni graduali blandisce il suo gregge mentre compie le necessarie scelte di governo, ma senza in realtà comunicare ed infondere mai cultura di governo.

Nell'uso della piazza il Riformista vede un altro difetto della sinistra:
«L'indulgenza nei confronti della protesta, anche se sbagliata o confusa, rivela qualcosa di profondo sull'identità stessa di una parte della sinistra italiana, il modo in cui essa si rappresenta e gli istinti che la animano».
Considerazioni meno condivisibili invece quelle che tentano di spiegare le agitazioni studentesche o dei movimenti.
«Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i ragazzi che manifestano non può fare a meno di rendersi conto che il corteo, l'occupazione, il sit-in sono diventati riti di passaggio, il cui valore è più che altro esistenziale, non politico».
Il ribellismo giovanile è senz'altro un aspetto, ma non attribuendo valore politico, e quindi non prendendo molto seriamente quelle dimostrazioni e le loro degenerazioni violente, si rischia di non fare un favore a quei ragazzi, che vanno messi di fronte alle responsabilità politiche e personali delle loro azioni. Anche laddove l'"occupazione" o il corteo avessero solo valore esistenziale, bisogna comportarsi come se avesse valore politico.

La ciliegina sulla torta la mette Prodi, che lanciando un allarme periferie delle città italiane con riferimento ai disordini di Parigi aggiorna un'altra brutta abitudine della sinistra: al giustificazionismo ex-post si aggiunge addirittura il giustificazionismo ex-ante.

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