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Thursday, November 03, 2005

Il premier avvitato su se stesso

Dopo essersi fumato in cinque minuti una delle poche politiche di cui poteva restare orgoglioso, Berlusconi in un colloquio con Renato Farina, vicedirettore di Libero, mostra di non aver capito nulla della minaccia terroristica e, a quasi tre anni di distanza, della guerra in Iraq.

Antefatto. L'Italia non partecipa alla guerra, ma offre le proprie truppe per la stabilizzazione nel dopoguerra; nel contesto di una forza multinazionale legittimata dall'Onu e invitata a restare dal governo legittimo degli iracheni.

In senso stretto è vero che quando il premier dice che la guerra voleva evitarla e che l'Italia comunque non vi ha preso parte (la costituzione non lo permetteva) siamo di fronte a una non-notizia. Oggi Berlusconi ci racconta che quelle sue parole sono studiate a tavolino, perché «c'è di mezzo l'Italia».
«Come fate a non avere questa avvertenza? Siamo esposti ad attacchi micidiali del terrorismo. Io non rinnego nulla, espongo sempre la verità per togliere pretesti propagandistici a chi vuole organizzare stragi. Per questo evidenzio la mia assoluta disponibilità al dialogo con i Paesi islamici... Ho voluto dare l'intervista a La7 su questi temi perché fosse amplificata da Al Jazeera e io potessi apparire per quel che sono: leader di un Paese che in ogni maniera ha cercato di tenere lontana la guerra. Che non ha attaccato nessuno e non è in guerra. Le nostre truppe in Iraq non sono di occupazione, sono forze di pace, sotto l'egida di una risoluzione dell'Onu. Siamo intervenuti soltanto allora... Io non sono mai stato convinto che la guerra fosse il sistema migliore per arrivare a rendere democratico un Paese e a farlo uscire da una dittatura anche sanguinosa. Io ho tentato a più riprese di convincere il presidente americano a non fare la guerra. Ho tentato di trovare altre vie e altre soluzioni. Non ci siamo riusciti e c'è stata l'operazione militare. Io ritengo che si sarebbe dovuta evitare un'azione militare».
«Togliere pretesti» ai terroristi? Ve lo immaginate Blair che parlando ad Al Jazeera si rivolge ai terroristi per convincerli che - lui sì - ha provato di tutto per scongiurare la guerra? Probabilmente è anche vero che ha tentato, ma quale valore politico avrebbero parole simili? Berlusconi è patetico, perché al di là di quel senso stretto è innegabile che la posizione dell'Italia alla vigilia del conflitto era comunque di sostegno alla politica estera Usa; è innegabile che la non belligeranza non significava neutralismo. E fu un merito. «Io non sono mai stato convinto che la guerra fosse il sistema migliore...». Dunque, implicitamente ritiene che lo sia per Bush e Blair?

Oggi, a cose fatte, in un contesto pre-elettorale e alla vigilia di una visita a Washington, ricordare la presunta specificità della posizione italiana assume un valore politico diverso, ha il sapore del cerchiobottismo e dell'ambiguità. Nel peggiore dei casi si tratta di trarne un vantaggio elettorale (incassare la benedizione di Bush e al contempo tranquillizzare la base elettorale neutralista): può anche essere vero che la Casa Bianca «teme un cambio di governo in Italia», ma certo non è stato "diplomaticamente corretto" mettere in difficoltà l'alleato rivendicando una "sensazione". Nel migliore dei casi, appunto, lo scopo è quello di «togliere pretesti» ai terroristi, dimostrando però di non avere affatto compreso la natura della minaccia terroristica, che dei pretesti se ne sbatte.

E' chiaro anche agli osservatori meno smaliziati che quelli del premier sono distinguo (per convenienza elettorale o nazionale poco importa) che non possono cancellare, ora che ce ne sarebbe bisogno per la sicurezza (?), il sostegno politico che il governo scelse di dare alla politica angloamericana sull'Iraq. Ho sempre guardato con rassegnazione quegli esponenti del nostro governo che nelle trasmissioni televisive si mettevano sulle difensive senza nemmeno un pizzico di idealismo democratico e, senza mai difendere la causa dell'esportazione della democrazia e della libertà, spiegavano che - per carità - l'Italia non era in guerra, non condivideva la scelta di Bush, ma che Saddam era pericoloso.

Al contrario, oggi come allora non ci dovremmo nascondere: "Non potevamo partecipare alle operazioni belliche, ma vi abbiamo partecipato idealmente". Invece, rivendicare senza vergogna una politica estera condivisa con Washington e Londra è ancora tabù, è una battaglia culturale ancora da combattere. Sono loro, quelli che a dargli retta Saddam sarebbe ancora al potere, a doversi giustificare.

L'espressione «ogni maniera» poi lascia un po' perplessi. Dubitiamo della determinazione, oggi persino ostentata, con cui Berlusconi avrebbe speso le sue carte. Nelle fasi decisive della crisi, il suo ministro degli Esteri e la sua maggioranza irrisero la mozione "Iraq libero", sottoscritta dalla maggioranza dei parlamentari, che impegnava il governo a lavorare per l'esilio di Saddam.

1 comment:

Anonymous said...

da PANKA

sempre ripigliati jim momo, ti scordi un fatto.
Le nostre truppe sono la! e domanda facile facile: in che area politica nascono le uniche manifestazioni pro israele e democrazia nel nostro paese?
con che sono alleati i radicali?
dov'era Prodi?