La morte di Franco Lamolinara è ben più tragica della situazione in cui si trovano i nostri due marò prigionieri in India, richiederebbe altrettanto riserbo, ma in questo caso le autorità italiane non hanno rinunciato ad alzare i toni della polemica con Londra, nonostante nella vicenda gli inglesi non fossero controparte ma alleati. Persino il capo dello Stato Napolitano è intervenuto severamente, bollando come «inspiegabile il comportamento del governo inglese». Ma sono giustificate le rimostranze italiane? E soprattutto, sono opportune? Sì e no. Innanzitutto, le due versioni non sono poi così contrastanti. Il ministro degli Esteri britannico Hague ha ammesso che Roma è stata avvertita «ad operazione in corso», perché la situazione venutasi a creare sul terreno imponeva una decisione in tempi troppo ristretti per poter illustrare i dettagli e aspettare il via libera italiano. Una giustificazione che si può presupporre fondata, veritiera, dal momento che è stato addirittura deciso di condurre il blitz in pieno giorno, quando è noto che in condizioni di normale pianificazione queste operazioni si conducono di notte.
Se l'Italia non è stata avvertita dell'avvio del blitz, è però ragionevole presumere - in assenza di lamentele sulla comunicazione tra i due Paesi nei giorni e mesi precedenti - che fosse al corrente degli ultimi sviluppi (l'individuazione del luogo della prigionia e il rischio di "vendita" o uccisione degli ostaggi) e, quindi, del fatto che l'esito della vicenda, a giorni, se non ad ore, sarebbe stato proprio quello del blitz, a maggior ragione considerando la politica britannica in questi casi, in generale più incline all'azione di forza che al compromesso con i terroristi. Da quanto sta emergendo da varie fonti, l'accelerazione sarebbe stata causata dall'arresto, lunedì scorso, di un capo locale e di altri quattro membri di Boko Haram, la setta terroristica islamista responsabile del sequestro, che ha sì permesso di individuare l'edificio dove erano rinchiusi gli ostaggi ma che ha inevitabilmente messo in allarme i rapitori.
Ma la polemica innescata da Roma rischia di trasformarsi in un boomerang per l'Italia. Se davvero gli inglesi hanno condiviso le informazioni fino all'ultimo da maggio scorso, cioè dall'inizio del sequestro, il ritardo di pochi minuti nella comunicazione di un blitz sul quale comunque il nostro governo non avrebbe potuto opporre alcun veto, perché uno degli ostaggi era cittadino britannico, a maggior ragione se verrà confermata la massima urgenza imposta dalla situazione, poteva tranquillamente essere sdrammatizzato. Anche per non sottolineare che la nostra posizione nella vicenda - in termini militari, di intelligence e diplomatici - è stata del tutto secondaria, se non passiva. Quali iniziative, e con quale esito, hanno intrapreso i nostri servizi per la positiva risoluzione del sequestro?
Il governo, probabilmente scottato dal caso dei marò, stavolta ha subito fatto la voce grossa, ma alla prova dei fatti la reazione potrebbe dimostrarsi sproporzionata (ancor di più se paragonata all'acquiescenza con gli indiani). A sottolineare l'irrilevanza italiana, infatti, non è tanto il ritardo con il quale ci è stato comunicato il blitz, ma il fatto che non eravamo al centro dell'azione, e che non ci saremmo stati in ogni caso, blitz o non blitz. Solo pochi giorni fa i mainstream media avevano trionfalmente celebrato il ritorno dell'Italia, per merito del governo Monti, tra i Paesi che contano. La tragica sorte di Lamolinara e quella dei due marò (per non parlare del caso Urru, dove probabilmente ci stiamo facendo taglieggiare da finti mediatori) mostrano entrambe, sia pure per aspetti molto diversi, che non è così facile. L'amara realtà è che il nostro status di media potenza, di serie B se non C, dipende non solo da fattori economici, militari e geopolitici, ma anche da una serie di scelte, di comportamenti e approcci radicatissimi e bipartisan, al dunque condivisi anche dall'opinione pubblica.
Nel primo caso, è la nostra politica sui rapimenti all'estero, che praticamente esclude il ricorso all'uso della forza ed è invece incline al pagamento del riscatto, o a qualsiasi altro tipo di compromesso con terroristi o banditi vari, a metterci in una posizione di subalternità, se non del tutto fuori gioco, soprattutto quando tra gli ostaggi c'è un cittadino americano o britannico. Dovremmo chiederci come mai nei casi di sequestro in Italia c'è una legge specifica che vieta ai famigliari di pagare il riscatto, e mi pare che abbia ben funzionato, mentre all'estero siamo pronti a presentarci valigetta in mano. E' fuor di dubbio che pagando i riscatti, o cedendo alle richieste dei terroristi, si alimenta il "business" dei rapimenti. Si salvano - forse - le vite in pericolo in quel momento, ma se ne mettono in pericolo altre centinaia.
Nel secondo caso, invece, paghiamo lo scotto di un corpaccione diplomatico annoiato, addormentato, che chiamato improvvisamente all'opera si dimostra impreparato: si attiva tardivamente e commette errori imperdonabili. La figuraccia con l'India l'abbiamo già fatta quando qualcuno ha assunto, o avallato, la decisione di consegnare i marò, assumendosi il rischio di una rinuncia di fatto alla nostra giurisdizione sul caso. Fatta la frittata, avremmo potuto rimediare, appena constatata la malafede indiana, con una missione di salvataggio, ma non l'abbiamo nemmeno preso in considerazione. E ora la nostra sovranità, e dignità, è nelle mani di un giudice a Kollam. Ma siamo vittime innanzitutto di noi stessi.
2 comments:
Concordo in toto, e aggiungerei anche l'altra petroliera in mano ancora ai pirati, la "Enrico Ievoli". Purtroppo questi sono i risultati dell'approccio paga-e-riscatta che abbiamo sempre avuto da quando sono emersi questi fenomeni con al-qaeda, i terroristi islamici e i pirati negli ultimi 10 anni. Daltronde per fare un blitz bisogna anche esserne capaci ed assumersi le responsabilità. La nostra politica ha sempre optato per trattare e pagare, rendendo la vita degli italiani all'estero sempre più pericolosa. Altro che dar degli incompetenti agli inglesi che almeno hanno tentato di fare qualcosa, fallendo miserabilmente. Da noi ormai si tenta solo di non parlarne (tanto non si può fare niente) visto che con la crisi pagare tutti questi riscatti sta diventando sempre più esoso.
La vicenda dei marò è diversa, non capisco perché invece di blaterare questi politici non facciano qualcosa di concreto, tipo interrompere i rapporti commerciali con l'India o arrestare qualche indiano in segno di ritorsione e poi iniziare a trattare con qualcosa in mano. Invece cercano aiuto in burocrati inutili europei e nella comunità internazionale, che anche se abbiamo ragione, non farà un tubazzo per noi. Dovrebbero mandare i politici nelle prigione indiane al posto dei valorosi marò, che per mantenere le loro famiglie sono finiti in un incidente diplomatico con il rischio della pena capitale. Altro che andare a stringere la mano ai politici indiani, che per fini elettorali fanno cose abominevoli, figurarsi che glie frega a loro chi ha ragione in questa faccenda. Senza poter ricattare quella gente, non c'è modo di farsi rispettare. Perché si aspetta un inutile processo? L'Italia deve chiedere con forza la restituzione dei nostri soldati e dire che il processo è illegittimo, altrimenti che ci vadano quei pezzenti di politici sulla sedia elettrica indiana. Quei bastardi tanto stanno seduti belli comodi sul divano di casa loro. E noi paghiamo le tasse a quelle merde? Si mettano ad arrestare qualche indiano fabbricando qualche prova fasulla e poi ci si metterà a trattare. Questa è l'unica cosa che quegli idioti di politici non hanno capito ancora che è da fare.
Ciaooo
Roby
Per nulla d'accordo.
Qua la figuraccia l'hanno fatto gli Inglesi che hanno pianificato un blitz nel modo più dilettantistico possibile.
Per una volta D'Alema ha pienamente ragione.
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