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Thursday, September 20, 2012

La nostra linea rossa

Dopo il "film" (c'è ancora chi lo chiama così, ma il sospetto che si tratti di una montatura aumenta), riecco le vignette. Il settimanale francese Charlie Hebdo è certamente alla ricerca di pubblicità a buon mercato, ma la sensazione è che siamo arrivati ad un punto, nei rapporti con i settori più estremisti del mondo musulmano, in cui la battaglia per la libertà d'espressione va combattuta fino in fondo. Il presidente egiziano Morsi (Fratelli musulmani) la scorsa settimana ha aspettato di essere fuori dal territorio del suo paese per condannare le violenze contro le ambasciate americane, il che ha irritato parecchio anche bambi Obama, ed è ripartito dall'Europa con un miliardo di aiuti ma impartendoci una lezione: Maometto è «la nostra linea rossa», facendoci intendere che oltrepassata quella, dobbiamo aspettarci qualsiasi reazione, da una querela allo sgozzamento.

Ecco, credo sia giunto il momento di tracciare la nostra linea rossa. Se nei paesi musulmani non sono pensabili libertà d'espressione e libertà di culto, che continuino ad esserlo almeno nei nostri paesi civilizzati. E tracciare una linea rossa è ciò che tenta di fare Charlie Hebdo con due vignette che ritraggono Maometto pubblicate nelle sue pagine interne e in quarta di copertina. Stavolta niente di offensivo, scabroso o sconcio. Pura satira sottile. Ma sappiamo che per i musulmani integralisti il solo ritrarre il profeta è blasfemia. E la blasfemia nei loro paesi è punita da qualche anno di carcere fino alla morte. Come la mettiamo?

Subito la comunità islamica francese ha protestato e sono arrivare le minacce. Il governo francese per precauzione, temendo reazioni violente, ha disposto per il venerdì di "preghiera" la chiusura di ambasciate e scuole in una ventina di paesi a maggioranza musulmana. «Siamo in un paese in cui è garantita la libertà d'espressione, anche la libertà di caricatura», ha ricordato il premier Jean-Marc Ayrault. Per le offese... be' per quelle ci sono sempre i tribunali: «Ognuno deve esercitare questa libertà nel rispetto, ma se davvero qualcuno si sente offeso e pensa che ci sia stata una violazione di legge, siamo in uno stato di diritto e può rivolgersi ai tribunali». Perfetto.

Peccato che l'Occidente continui a mostrare pericolosi segnali di cedimento nella difesa dei suoi principi fondanti (dell'amministrazione americana abbiamo parlato qualche giorno fa) e dal mondo arabo continuino ad arrivare messaggi per nulla concilianti: «Queste cose devono finire», ha intimato il segretario della Lega araba. Subito ha trovato un ministro degli esteri pronto ad assecondarlo. Quello francese, Fabius, si è detto pronto a sostenere all'Onu la proposta di far diventare la blasfemia un crimine a livello internazionale. A quel punto ci saremmo consegnati mani e piedi ai nostri nemici, ai nemici della libertà, e che la disponibilità di Fabius sia stata solo un gesto di cortesia senza seguito non consola più di tanto.

Anche il ministro degli esteri italiano Terzi ci ha messo del suo, definendo le vignette «irresponsabili sensazionalismi». Nessuno si deve permettere non solo di offendere, ma nemmeno di «scherzare» sui sentimenti religiosi. Sì, proprio così, nemmeno «scherzare» si può. Terzi non dovrebbe permettersi di rilasciare dichiarazioni su alcunché prima di aver riportato i nostri marò a casa, ma di questo parliamo un'altra volta. Persino l'Osservatore romano bolla le vignette come «benzina sul fuoco» e il portavoce della Casa Bianca contesta l'opportunità della loro pubblicazione, ora che «possono infiammare la protesta».

E' questo il grande alibi dietro cui si nascondono politici e diplomatici: non offrire pretesti. Sono giustamente preoccupati di difendere la popolazione e il personale all'estero da possibili attacchi, quindi giustificano le loro dichiarazioni concilianti e di condanna delle "provocazioni" con la prudenza e il senso di responsabilità. Non si accorgono che così facendo però accettiamo un ricatto potenzialmente illimitato. Dovremo cedere su qualsiasi cosa i musulmani più integralisti si mostrino suscettibili, altrimenti dovremo subire le loro violenze? Questa non è diplomazia, questo è svendere i nostri principi. E la libertà d'espressione non è qualcosa di negoziabile in cambio di "sicurezza". Ci imbavagliamo per non essere aggrediti. Per qualcun altro, invece, mostrare di comprendere la suscettibilità altrui, per quanto assurda, fa molto persone perbene, fa molto tolleranti, saggi, ma il risultato finale è lo stesso e si chiama codardia.

Pubblicare vignette satiriche senza doverci sentire minacciati è una libertà a cui non possiamo rinunciare, per cui i nostri eroi hanno sacrificato la vita, è qualcosa che identifica la nostra civiltà e che vale la pena difendere con la spada se necessario. E' la nostra linea rossa, cordardi!

Monday, October 12, 2009

Burqa, la normativa vigente non lo vieta affatto

Su il Velino

Di un intervento legislativo, se si vuole impedire che burqa e niqab siano indossati in pubblico, c'è bisogno, perché la normativa vigente sull'identificazione - la legge 152/1975, a cui spesso si fa riferimento - non vieta affatto di indossarli.
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Monday, September 21, 2009

Via i burqa dall'Italia

Ci vuole una legge specifica che vieti burqa e niqab (e anche il velo nelle scuole, nelle università e in tutti gli edifici pubblici). La legge cui si è appellata ieri a Milano Daniela Santanchè, quella che vieta di girare in strada con il volto coperto, è inapplicabile al velo islamico, in quanto riconosciuto come «pratica devozionale» da sentenze sia della Cassazione che dei Tar, e da una circolare del Ministero degli Interni. Motivai il mio deciso "no" al burqa, e anche al niqab, quasi tre anni fa in questo articolo.

Che il burqa, o il niqab, sia davvero un simbolo religioso, è discutibile. Ed è ancor più discutibile che esistano donne che volontariamente li indossano. Quelle presunte volontà sono figlie di plagio, condizionamenti culturali, nel migliore dei casi, su persone che neanche sanno cosa significhi esprimere una propria volontà autonoma. A prescindere dalla presunta volontà di chi lo indossa, è un simbolo di segregazione, un modello antropologico di sottomissione della donna e, per questo, un'offesa alla sua dignità. E' incompatibile con i diritti fondamentali e l'uguaglianza dei sessi garantiti dalle costituzioni democratiche. Dietro di esso c'è tutto il sistema antropologico, giuridico, culturale e politico dell'islam integralista. Seppure in clandestinità o nel privato, verrebbe de facto legittimato l'impianto della sharia, e non saremmo in grado di tutelare i diritti delle donne islamiche che il velo invece non volessero indossarlo e che volessero liberarsi dalla condizione di sottomissione che vivono in famiglia.

Wednesday, April 29, 2009

Se l'Egitto decide di fare sul serio

Se l'ipotesi dell'atomica iraniana spaventa più di tutti Israele, a rendere inquieti i governi arabi sono anche gli altri mezzi, molto convenzionali ma meno eclatanti, con i quali Teheran sta perseguendo i suoi disegni egemonici sull'intero Medio Oriente. «Potenze straniere cercano di sabotare l'Egitto attraverso movimenti islamici», è l'inequivocabile accusa lanciata ieri dal presidente egiziano Hosni Mubarak. Alcune settimane fa le autorità egiziane hanno sgominato una cellula di Hezbollah che stava progettando attentati contro mete turistiche frequentate da israeliani e altri occidentali e contro infrastrutture strategiche del paese. Tra le accuse a carico dei 49 arrestati (libanesi, palestinesi, egiziani e sudanesi, tutti legati a Hezbollah), «l'osservazione del movimento delle navi nel Canale di Suez e dei villagi turistici nel nord e nel sud del Sinai allo scopo di attaccarli»; «la diffusione di idee sciite in Egitto e l'incitamento degli egiziani contro il loro governo»; «la fornitura di armi e denaro ad Hamas».

Gli iraniani manovrano organizzazioni terroristiche loro alleate allo scopo di destabilizzare l'Egitto – l'unico vero ostacolo rimasto tra gli ayatollah e le loro ambizioni – economicamente, colpendo il turismo e il commercio, settori strategici per l'economia del paese dei faraoni, e politicamente, giocando le carte del risentimento filopalestinese e dell'integralismo islamico.

Anche altri stati arabi stanno reagendo: il Marocco ha bruscamente interrotto le relazioni diplomatiche con l'Iran, accusandolo apertamente di sostenere elementi sovversivi sciiti nel regno; il Bahrain ha protestato con forza contro le dichiarazioni di un funzionario iraniano, secondo cui lo stato arabo sarebbe la quattordicesima provincia iraniana; la Giordania ha lanciato un'ulteriore azione repressiva nei confronti di Hamas ed Hezbollah. Tutti segni dell'ansia crescente dei governi arabi, non solo per le attività iraniane, ma anche per l'inedita stagione di dialogo che Obama vuole aprire con Teheran.

Il Cairo sta mandando un segnale preciso a Washington: la questione nucleare non è l'unico aspetto – sebbene sia il più urgente – della minaccia iraniana. «La sfida iraniana allo status quo regionale si manifesta in molteplici modi», ha scritto Abdel Monem Said Aly, direttore del Centro di studi strategici "Al Ahram", sul Wall Street Journal. Il braccio di ferro a distanza tra Teheran e Il Cairo si gioca soprattutto sul tavolo di Hamas. L'Egitto cerca di convincere Hamas a riconciliarsi con Fatah e ad accettare di far parte di un governo di unità nazionale palestinese, minacciando l'organizzazione integralista di strangolarla, serrando i confini con la Striscia di Gaza e distruggendo i tunnel sotterranei per il contrabbando. Teheran rende vani i continui tentativi egiziani esercitando a sua volta pressioni su Hamas. Le prove dell'impegno iraniano nel sabotare gli sforzi egiziani per la stabilità regionale sono «inconfutabili», osserva Said Aly. Per esempio, fu l'Iran a istigare Hamas a rifiutarsi di rinnovare la tregua con Israele, causando indirettamente la guerra di Gaza del dicembre scorso. «L'Egitto ha dato e sta dando ai palestinesi più di quanto diate voi. Non li usa come merce di scambio e non partecipa nello spargere il loro sangue. Lavora duro per raggiungere la loro unità», ha rivendicato, sempre ieri, il presidente Mubarak.

L'Iran vede nell'Egitto il suo più grande rivale, forse l'ultimo, nella regione. Sabotare i suoi sforzi per la pace tra palestinesi, e tra palestinesi e israeliani, significa minarne l'autorità ed alimentare quel tipo di risentimenti anti-israeliani e anti-occidentali che avvicinano gli arabi sunniti a Teheran, a quell'ideologia che fa da «collante postmoderno – così l'ha definita Robert Kaplan sull'Atlantic – che tiene unita la grande sfera d'influenza iraniana». Un collante che appare persino più forte della storica divisione tra sciiti e sunniti. Sono milioni infatti gli arabi sunniti che, soprattutto in Egitto, si sentono più vicini ai mullah radicali sciiti che alla loro autocrazia sunnita, detestata perché compromessa con la politica di Usa e Israele. Temendo la penetrazione di tale ideologia, il governo egiziano monitora da tempo i legami di Teheran con Hezbollah, ma anche con movimenti integralisti sunniti come i Fratelli musulmani, particolarmente forti in Egitto, e Hamas.

La soluzione del conflitto israelo-palesinese sarebbe importante per frenare l'espansione dell'influenza iraniana nella regione, ma è altrettanto vero che difficilmente si faranno progressi reali finché l'Iran continuerà a sabotare ogni sforzo, proprio perché si rende conto di quanto sia fondamentale per le sue ambizioni che la tensione rimanga alta. Il presidente Obama «dovrebbe mandare un fermo messaggio a Teheran che l'America sta con l'Egitto dalla parte della pace e della stabilità», conclude Said Aly. «Gli Stati Uniti – suggeriscono gli analisti del Washington Institute for Near East Policy – dovrebbero agire in fretta per fornire un forte appoggio pubblico e una tangibile assistenza all'Egitto e agli altri governi arabi nei loro sforzi per contrastare le ambizioni egemoniche iraniane». Ma ora che ha aperto gli occhi sulla pericolosità degli alleati di Teheran dentro e fuori i suoi confini, Il Cairo dovrebbe decidersi ad annientare Hamas. Potrebbe farlo domani, se lo volesse, sigillando davvero i pochi km di confine con la Striscia di Gaza.

Monday, April 02, 2007

Il fascismo islamico in casa

Velo islamicoApprezzabile la puntata di Annozero sull'integralismo islamico nel nostro paese. Per una volta possiamo spendere un "bravo" per Michele Santoro, che ha mostrato al pubblico, seppure con i suoi consueti toni faziosi e i suoi schemi banalizzanti, fenomeni ampiamente e gravemente comuni, ma invisibili, nel nostro paese, sui quali colpevolmente non vogliamo aprire gli occhi. Ancora più opportuno che sia stato proprio Santoro ad occuparsene, visto che a rimanere chiusi sono soprattutto gli occhi di certa sinistra, quella più affezionata alle sue trasmissioni.

Storie di donne picchiate e segregate dai mariti, di imam che in moschee di fortuna incitano alla guerra contro gli occidentali e alla sottomissione delle donne.

Uno spaccato che corrisponde in pieno al ritratto dell'islam in Italia che veniva fuori da un film di qualche tempo fa, "Il mercante di pietre" (2005), di Renzo Martinelli. Dobbiamo ammetterlo, seppure a nostro avviso il film fosse piuttosto scadente come prodotto cinematografico. Le telecamere nascoste di Santoro hanno ripreso inquietanti scene di predicazione praticamente identiche, nella scenografia e nei contenuti, a quelle mostrate da Martinelli.

Nonostante ciò, è come se gli immigrati islamici nelle nostre città fossero trasparenti. Non li vediamo, non ci accorgiamo della loro presenza, ma ci sono. Per lo più lavorano, hanno mogli e figli, qualcuno delinque (magari fosse questo il problema), vanno in moschea, pregano, sviluppano delle idee, una concezione di se stessi e del paese in cui vivono. Tutto questo vissuto rischia di cadere sotto il controllo idelogico di imam integralisti, di restare per anni in ebollizione, come in una pentola a pressione, in "enclave" di cui ignoreremo l'esistenza finché da esse non nascerà chi un giorno si farà saltare in un vagone della metropolitana.

E' in corso sotto i nostri occhi, e sotto quelli delle autorità, una incessante erosione di fette di legalità. Troppo spesso infatti, la convivenza con le comunità islamiche all'interno delle nostre società è divenuta connivenza con una legalità, parallela a quella statuale, che impone violenze, brutalità, sottomissione.

E' sul corpo delle donne, ripete Adriano Sofri, che si sta combattendo. Nella loro condizione è la differenza «essenziale fra società islamiche e occidente». La libertà delle donne «non riguarda solo il loro destino, ma la condizione del genere umano». I nemici dell'occidente lo sanno bene, «gli occidentali se ne accorgono meno». Lo sa Souad Sbai, la combattiva presidente dell'Associazione donne marocchine, la Hirsi Ali italiana: «In Marocco le donne conoscono la nuova legge della famiglia ma le donne marocchine in Italia non la conoscono, non conoscono i loro diritti... Il maschilismo impera. Per queste donne qualcosa bisogna fare subito».

Non solo in Europa, le cronache ci dicono che anche in Italia vigono fatwe e sharia. La legge coranica è de facto tollerata come fonte di diritto e il clero islamico come referente giuridico di ciò che i musulmani possono fare o meno, regalando loro un potere che abbraccia la sfera della rappresentatività religiosa e politica che giustamente rifiutiamo alla Chiesa cattolica, contestando con solerzia ogni suo sconfinamento.

Abbiamo il fascismo islamico in casa. E permettere ai fascisti islamici di fare propaganda, istigazione all'odio razziale e religioso, fare proseliti, non ha nulla a che fare con la libertà d'espressione. Occorre esserne consapevoli e muoversi. Senza allarmismi, ma senza voltarsi dall'altra parte. Senza misure repressive, né cedimenti multiculturali, ma garantendo agli individui, singolarmente presi, e soprattutto alle donne e alle bambine musulmane, i loro diritti, anche e soprattutto a dispetto della propria cultura di provenienza. A partire dalla proibizione del velo nei luoghi pubblici e soprattutto nelle scuole.

Anziché integrare individui abbiamo finora cercato di integrare comunità, chiudendo un occhio su legalità parallele alla nostra che venivano creandosi al loro interno e concedendo loro, di fatto, forme di extra-territorialità. Occorre recuperare la dimensione dell'individuo come soggetto di diritti, dando minore spazio a politiche pubbliche incentrate sul riconoscimento identitario di questo o quel gruppo. Altrimenti il rischio è quello di trovarci di fronte a società tribalizzate, frammentate, prive di centro politico, dove molti gruppi culturali affermano la propria identità attraverso il vittimismo, il risentimento, l'ideologia politica.

Una questione, davvero cruciale del nostro tempo, su cui il silenzio dei radicali è assordante. Perché è una questione italiana e allo stesso tempo europea ed occidentale, è una questione sociale e di diritto, di sicurezza e di integrazione, di politica interna ed estera, di legalità democratica e di laicità da far valere e rispettare anche nei confronti dell'islam, in modo altrettanto rigoroso di quanto siamo stati disposti e siamo disposti ancora a fare con la Chiesa cattolica.

P.S. Scusate, se per me le discriminazioni che subiscono alcune razze di cani in Italia vengono dopo, molto dopo tutto questo.