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Thursday, August 26, 2010

L'amarezza di Marchionne per un'Italia che non vuole cambiare

C'è un misto di amarezza e rassegnazione nelle parole pronunciate da Marchionne al Meeting Cl di Rimini, consapevole che l'Italia è un Paese che ha «paura di cambiare», o meglio, che ha quell'atteggiamento provinciale di chi «non ha voglia» neanche di essere infastidito dal mondo che lo circonda, e «molto spesso - ha avvertito l'ad di Fiat mostrando tutto il suo rammarico - sono queste le ragioni del declino economico e sociale di un Paese». La retorica del cambiamento è trionfante, riempie la bocca di tutti, ma «l'elogio del cambiamento si ferma sulla soglia di casa, va bene finché non ci riguarda». Se nemmeno il presidente della Repubblica, che dovrebbe rappresentare il maggior livello di consapevolezza che sa esprimere un Paese, si mostra in grado di comprendere i fenomeni economici e sociali che ha sotto gli occhi, allora c'è davvero poca speranza che a prevalere non sia una cultura anti-impresa e anti-lavoro.

Comprensibilmente quindi Marchionne ha sentito il dovere di difendere, insieme alla «serietà» del progetto Fiat, anche «le ragioni» degli unici che hanno raccolto questa sfida, Bonanni e Angeletti, i segretari di Cisl e Uil, «che ci stanno accompagnando in questo processo di rifondazione dell'industria dell'auto italiana». Il resto della politica è capace al massimo di dividersi in tifoserie contrapposte, ma rimane alla finestra. Il governo non prende posizione (dov'è Sacconi?), non realizza, né annuncia le riforme di cui il sistema avrebbe bisogno (il caso di Melfi e la sentenza dei giudici del lavoro fornivano l'ennesima occasione per giustificare un intervento sullo Statuto dei lavoratori). Il solo Tremonti, ieri, ammoniva, con evidente riferimento all'accordo di Pomigliano e alla vicenda della Fiat di Melfi, che «se vuoi i diritti perfetti nella fabbrica ideale, rischi di conservare i diritti perfetti, ma di perdere la fabbrica ideale che va a produrre da un altra parte». Mentre il Pd getta le sue poche maschere "riformiste" e si rivela per quello che è, una delle sinistre più retrive che abbiamo in Europa.

Marchionne è stato giustamente molto severo: ci si deve rendere conto che non è conveniente per nessuno investire in Italia (è «l'unica area del mondo in cui il gruppo Fiat è in perdita»), perché da noi vige un sistema anacronistico e insostenibile che impedisce alle imprese di essere competitive, in un mondo che cambia con estrema rapidità e che richiede tempi di risposta altrettanto veloci per tentare di tenere il passo. Se Fiat lo fa, rinunciando a «vantaggi sicuri in altri Paesi», è solo perché ha le sue «radici» in Italia, ma chiede, implora, agli italiani di «riconoscere la necessità di cambiare e aggiornare il sistema in modo che garantisca alla Fiat di poter competere», perché «la cosa peggiore di un sistema industriale incapace di competere è che sono i lavoratori a pagarne le conseguenze». E chiede il minimo sindacale per un'impresa, cioè che si rispetti il basilare diritto di proprietà, cioè almeno la «garanzia di poter gestire i nostri stabilimenti in modo affidabile, continuo e normale».

E' ciò che non è garantito a Melfi, e probabilmente neanche in altre parti del Paese, se durante uno sciopero a cui aderiscono poche decine di operai su 1750 si tollera che tre di essi blocchino le macchine impedendo agli altri di lavorare e alla fabbrica di produrre. «La maggior parte delle persone che lavorano in Fiat - ricorda Marchionne - ha compreso e apprezzato» l'impegno dell'azienda, l'accordo di Pomigliano è stato approvato dalla maggioranza dei sindacati e dei lavoratori, eppure in pochi riescono a sovvertire la volontà dei più: «Non è onesto usare i diritti di pochi per piegare i diritti di molti... E' inammissibile difendere e tollerare illeciti arrivati fino al sabotaggio. Non è giusto nei confronti dell'azienda e non è giusto nei confronti di altri lavoratori... Dignità e diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone. Sono valori che vanno difesi e riconosciuti a tutti». Eppure la magistratura che fa? Riconoscendo i diritti di quei tre, di fatto li nega a tutti gli altri. Altro che «fondata sul lavoro», l'Italia è una Repubblica fondata sulla sopraffazione e il sabotaggio.

1 comment:

Anonymous said...

A me sembra che se qualcuno ha paura di cambiare sia proprio la Fiat e il signor Marchionne.
La FIAT ha vissuto per anni di contributi e aiuti statali, e adesso che, finalmente direri, lo stato italiano non sembra piu' disposto ad elargire, ricorre al vecchio sistema del ricatto, puntando la pistola alla testa dei lavoratori e allungando la mano achiedere altri soldi....no signor Marchionne..non un euro in piu, i soldi servono ad aiutare gli imprenditori onesti e coraggiosi che creano posti di lavoro, non chi li distrugge, chi pensa di sopravvivere diminuendo i diritii e gli stipendi dei lavoratori