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Wednesday, February 16, 2011

Forse Obama s'è svegliato

Il seme della ribellione sembra diffondersi da Tunisia ed Egitto a macchia d'olio in tutto il Medio Oriente. Da Algeria e Libia fino a Bahrein ed Iran, dove l'onda verde che si era opposta alla rielezione truffaldina di Ahmadinejad si mostra viva e vegeta, rinvigorita dai successi della piazza al Cairo. Difficile prevedere gli esiti delle proteste, ma la storia anche recente ci insegna che regimi che sembrano molto solidi sono in realtà molto fragili e basta una scintilla - magari la consapevolezza della forza dei numeri nella gente - a farli crollare. Ma a Teheran è diverso. C'è un potere che è disposto a versare tutto il sangue necessario. Il paradosso di un regime che celebra le vittoriose proteste del popolo egiziano contro Mubarak, mentre nega al suo popolo il diritto a simili proteste, è solo apparente. La caduta di un alleato dell'odiata America e di Israele nella regione è un evento obiettivamente favorevole per le ambizioni egemoniche della leadership iraniana, e la propaganda imponeva che così fosse letto all'interno, ma erano inoccultabili le aspirazioni alla democrazia e alla libertà che hanno mosso le proteste egiziane, e impensabile che gli iraniani non ne cogliessero la natura anti-regime.

La rivoluzione egiziana sembra aver assestato una scossa anche ad Obama, che sembra uscito dall'intorpidimento "realista". E' naturalmente presto per dirlo e bisognerà verificare i fatti, ma le parole di queste ore indicano che forse alla Casa Bianca è in corso un aggiustamento di rotta. Subito il presidente si è pronunciato a favore dei manifestanti iraniani, con l'auspicio che «anche in Iran il popolo sia libero di esprimersi» come ha potuto fare il popolo egiziano al Cairo. Ha detto di «sperare» che l'Egitto «possa essere di esempio a tutta la regione mediorientale, anche se ogni Paese ha la propria identità». E che, come successo in Egitto, gli iraniani «abbiano il coraggio» di continuare a protestare. Un Obama comunque rimasto sul generico, avvertendo che «l'America non può dettare quello che succede in Iran, più di quanto abbia potuto dettarlo in Egitto», mentre Hillary Clinton sembra in queste ore assumere una linea più coraggiosa, dichiarando di «sostenere chiaramente e direttamente» le aspirazioni dei manifestanti iraniani contro il regime.

E parlando alla George Washington University, il segretario di Stato ha chiarito il contributo dell'America ai processi di democratizzazione. Non era la prima volta che parlava di libertà di internet, enunciando un vero e proprio manifesto politico sulla Freedom of Internet, ma farlo di nuovo in questo momento ha una particolare rilevanza. Tanto più che ne ha parlato nei termini di un nuovo «pilastro della politica estera degli Usa», perché nella «piazza digitale» globale devono valere «gli stessi diritti universali di Times Square o Piazza Tahrir». «Le libertà di espressione, associazione, fede e petizione al governo devono essere garantite anche nel cyberspazio - ha spiegato - perché una Chiesa, una ong o un sindacato devono poter esercitare i propri diritti anche sul web». La nuova «libertà di connettersi» che molti Stati tuttavia ostacolano o negano del tutto. E la Clinton li ha nominati esplicitamente cinque, «Birmania, Cina, Cuba, Vietnam e Iran», ribadendo che come governo «spendiamo per sviluppare tecniche di comunicazione che consentano agli attivisti della libertà digitale di sviare attacchi e controlli» e dunque «ogni volta che uno Stato dispotico applica nuove contromisure noi rispondiamo con innovazioni». Sarebbe già qualcosa.

Anche perché il «domino democratico» in Medio Oriente è già scattato e il governo americano si è fatto trovare impreparato, è stato l'ultimo ad accorgersene, la sua intelligence e la sua politica estera non erano al passo con i tempi. «L'errore più grave dell'Intelligence americana - spiega Reuel Marc Gerecht a La Stampa - è stato di non accorgersi della maturazione di idee democratiche nelle nuove generazioni. E' un processo in atto da anni. Ma non ci hanno voluto credere, rimanendo aggrappati all'immagine di un mondo arabo-musulmano congelato dai dittatori». Si tratta di Paesi per molti aspetti diversi, ma per altri «hanno caratteristiche simili: carenza di libertà, repressione, problemi economici irrisolti e una nuova generazione che rappresenta gran parte della popolazione. La miccia sono le informazioni, che corrono molto veloci, più di quanto avveniva anni fa». Non solo internet: «A portare in milioni di case quanto avvenuto in Tunisia ed Egitto sono state Al Jazeera e Al Arabiya, due tv con grande seguito. Il resto lo ha fatto internet con Google, Facebook, Twitter, le email. E c'è anche un terzo fattore: gli sms. Sono uno strumento molto efficace per mobilitare. Neanche il regime può permettersi di bloccarli a lungo». Per Gerecht Obama è un presidente «con una doppia identità, realista e idealista». In questi giorni sta prevalendo la seconda. Speriamo non si tratti solo di retorica.

2 comments:

Anonymous said...

Cè un piccolo particolare Ben Alì e Mubarak erano due leader filo occidentali che dipendevano economicamente da USA e Europa.I loro eserciti si rifiutavano di sparare sulla folla.Khamenei e Ahmadinejad hanno Basiji e Pasdaran
che non hanno certo di queste preoccupazioni.In particolare perchè mai i militari iraniani dovrebbero privarsi di chi gli ha promesso La Bomba?Anche Carter è riuscito ad abbattere lo Shah ma non si è rivelato un grosso affare.
IMHO è + a rischio Gheddafi.

Anonymous said...

Era prevedibile che togliere ai militari il loro giocattolo preferito riuscisse disastroso al Colonnello.