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Monday, November 14, 2011

Patrimoniale dirimente

Mi pare che come spesso accade Alesina e Giavazzi, sul Corriere della Sera, colgano il punto: la vera «equità» si persegue realizzando le riforme per la crescita, mentre l'impressione è che quella di cui parlano Napolitano e Monti sia l'equità dei sacrifici che saranno richiesti ai partiti e alle parti sociali, l'idea cioè di varare misure che accontentino/scontentino un po' tutti. Neanche è nato, e il nuovo governo dei tecnici pensa già alla propria sopravvivenza piuttosto che al vero e proprio shock thatcheriano che serve a questo Paese. L'equità è un nobile intento, ma anche un concetto dietro cui si nasconde la conservazione dello status quo: «La concertazione ha creato l'esatto opposto dell'equità: i veri deboli non siedono a quei tavoli». Dunque, cercare una «certificazione dell'equità delle riforme al tavolo della concertazione» semplicemente significa rinunciare alle vere riforme. E che l'incaricato con riserva Monti si accinga, propedeuticamente alla nascita del suo governo, a consultare non solo le forze politiche in Parlamento ma anche le parti sociali non è certo un inizio molto promettente. Per dirla in breve, se lo schema Monti è: tasse subito, riforme dopo la concertazione con i partiti e le parti sociali, allora no, non ci siamo.

Molto, quasi tutto, del tentativo Monti si capirà quindi dalle prime misure. Dirimente per comprendere quale sia la sua filosofia d'azione sarà la decisione sulla patrimoniale. Ma perché è così dirimente per dare un giudizio quasi definitivo sulla politica dell'eventuale nuovo governo? Perché la patrimoniale sarebbe un segno di continuità con le politiche meramente ragionieristiche del tremontismo. Qui per patrimoniale intendiamo un'imposta una tantum sul patrimonio per ridurre in fretta il debito e per dimostrare che "anche i ricchi piangono" (diffidare dai confindustriali e i banchieri favorevoli alla patrimoniale, ma che hanno già spostato tutto su conti e proprietà all'estero).

Anche se con la probabile recessione del prossimo anno dovesse sfuggire di poco il pareggio di bilancio previsto nel 2013, non servono altre manovre frettolose e sbilanciate sul fronte delle entrate, quindi recessive, che rischierebbero di peggiorare ancor di più le prospettive di crescita accentuando, invece che allentare, le tensioni sui mercati. E così concepita la patrimoniale sarebbe drasticamente recessiva, non solo per la ricchezza sottratta, ma anche per l'ulteriore fuga di grandi risparmi e capitali che incoraggerebbe.

Ciò che è veramente cambiato nelle valutazioni dei mercati è che non si accontentano più di una gestione del debito solo contabile, come negli anni '90, altrimenti si sarebbero accontentati delle due manovre fatte quest'estate. Ciò che maggiormente puniscono è la prospettiva italiana di scarsa, anzi quasi nulla crescita. C'è tutto il tempo, insomma, per studiare l'abbattimento del debito attraverso un piano di dismissioni del ricco - e improduttivo - patrimonio pubblico, soprattutto immobiliare, da cui si potrebbe ricavare qualche centinaio di miliardi. Ciò che serve subito, immediatamente, domani, sono riforme per la crescita: liberalizzazioni e riforma fiscale.

Ecco perché la scelta patrimoniale sì/no è così dirimente. Fare cassa subito e rinviare al momento della concertazione le riforme delle pensioni, del mercato del lavoro e del sistema fiscale, magari solo per dimostrare che "anche i ricchi piangono" sperando di accattivarsi le simpatie della sinistra politica e sindacale, vorrebbe dire da parte del governo dei tecnici perseverare nell'errore. La prospettiva credibile di una crescita economica intorno al 2% basterebbe ad abbassare lo spread, il che avrebbe un effetto positivo sui tassi di interesse e dunque proprio sulla crescita. Si invertirebbe il trend: il circolo da vizioso diventerebbe virtuoso. La «scorciatoia» della patrimoniale, invece, scrivono Alesina e Giavazzi, «ammazzerebbe la crescita facendo probabilmente aumentare il rapporto debito-Pil, dopo una momentanea riduzione».
«È un'esperienza che abbiamo già vissuto dopo il 1992 con il governo Amato: in quegli anni le privatizzazioni ridussero il rapporto debito-Pil di oltre dieci punti, ma poiché non si fece nulla per la crescita, nel decennio successivo quel beneficio ce lo siamo mangiati. Non solo, una patrimoniale sarebbe come dire: "Siamo nel panico, parliamo tanto di crescita, ma la sola cosa che sappiamo fare è confiscare un po' di soldi agli italiani". Molto probabilmente gli spread salirebbero invece che scendere. Quanti condoni e misure una tantum abbiamo varato negli ultimi anni, con un approccio ragionieristico ai conti pubblici? Innumerevoli. Quale è stato il loro effetto sul rapporto debito-Pil? Nessuno».
Del tutto diverso sarebbe un intervento "patrimoniale" all'interno di una rimodulazione del carico fiscale, di carattere ordinario e permanente, a favore di impresa e lavoro. Non sarebbe né scandaloso né depressivo disboscare le selve di detrazioni e sussidi, pensare alla reintroduzione dell'Ici, in realtà già prevista dal governo uscente nella forma dell'Imu (una tassa sulla residenza più che sualla casa), ma a patto di eliminare l'Irap e tagliare le aliquote sui redditi individuali (anche grazie all'abolizione delle pensioni d'anzianità).

6 comments:

formamentis said...

Che ci vuoi fare, servono i soldi subito, messi di fronte all'urgenza di tappare il buco anche i più bocconiani del mondo - scusa la finezza - si cacano in mano e preferiscono andare sul sicuro. Se il prossimo governo tecnico lo affideranno a Giavazzi c'è da scommettere che ci infilerà una tassa pure lui ma è meglio che si sbrighi a far carriera, altrimenti non lo chiamano più, chiamano Renzi (in alternativa potresti tentare tu di diventare Presidente della Repubblica, però te lo dico, la strada è lunga e devi campare cent'anni). E poi, scusa, dove la trovi un'altra matta come la Thatcher?.

Piuttosto mi domando che senso avrebbe andare ancora a nuove elezioni quando è chiaro che nessuno darebbe comunque lo shock thatcheriano di cui avremmo bisogno, ti pare? Il piano è tappare il buco, rimettere il debito in carreggiata e riconsegnare il giocattolo ai bambini.

JimMomo said...

"Il piano è tappare il buco, rimettere il debito in carreggiata e riconsegnare il giocattolo ai bambini". Questo si poteva fare negli anni '90. Temo che le cose siano cambiate, il debito in carreggiata non lo rimetti solo tappando il buco con nuove tasse, questo è il problema. E' già stato tentato nelle due manovre di questa estate.

formamentis said...

Guarda, oramai tifo anch'io per lo shock perché mi rendo conto che le abbiamo tentate tutte, giochiamoci pure l'ultima carta. Però intendevo che se anche andassimo ad elezioni nessuno si prenderebbe sulle spalle la responsabilità di questo shock, perché semplicemente tutti ne hanno paura.

Lasciamo perdere la sinistra, parliamo della destra. Abbiamo visto tutti che anche con una maggioranza ampissima queste riforme non le voleva fare, perché in sostanza nessuno vuole rischiare di diventare impopolare e di perdere voti (cincischiavano sulle intercettazioni!). Finché ci sarà una forza politica che antepone la paura di perdere voti al coraggio e alla responsabilità saremo sempre da capo e il guaio è che non si vede nessuno all'orizzonte (a chi ci dovremmo affidare, a Vendola e Alfano? Se non si è mosso B. nel corso di vent'anni che pure sembrava il campione della libera intrapresa, chi altri?).

JimMomo said...

ah sì, su questo piano pessimismo totale, concordo.

Cachorro Quente said...

Ma siamo sicuri che nessuna forza politica vuole "lo shock"? O meglio, siamo sicuri che lo shock sarebbe così impopolare?

Snellimento degli ordini di governo locale (province ecc.): credo che buona parte dell'elettorato sia a favore, a destra come a sinistra. Ovvio che qualcuno salterà su e invocherà le barricate, ma sarà un ostacolo sormontabile no?

Liberalizzazione del lavoro (riforma Ichino, diciamo): Renzi la vuole, il PDL la vuole, siamo sicuri che per Bersani sarebbe così insostenibile? L'unico problema è se ci sono i soldi per sostenerla e se in un momento di crisi non possa avere, nel breve termine, un effetto recessivo (non sono un economista ma si diceva che in Danimarca la crisi ha avuto un effetto più pesante sull'occupazione rispetto a paesi vicini).

Facilitare l'apertura di nuove imprese: chi sarebbe contro? Confindustria forse.

Liberalizzazioni degli ordini professionali: quando le fece Bersani erano molto popolari. Quando provò a farle Berlusconi non mi pare nessuno sia sceso in piazza: sono state bloccate in parlamento.

Cos'altro si vuole?

Secondo me si rischia di avere un'immagine troppo stereotipata dell'elettorato italiano, sia a destra che a sinistra.
Non affezionatevi troppo allo stereotipo del lavoratore pubblico che chiede più stato o del professore radical chic che vuole che la collettività finanzi in toto le sue ricerche sulle tavolette aramaiche.

La società sta cambiando e con essa anche l'elettorato potenziale. La prospettiva della crisi è compresa da tutte. E' vero fino a un certo punto che un paese ha la classe politica che si merita: secondo me l'Italia ne merita una un po' migliore. Il problema è il sistema di selezione alla base (legge elettorale, mass-media, ma non solo), che permette ai "poteri forti" (entourage Berlusconi, leadership sclerotizzata della sinistra, Vaticano, complesso industriale parassitario ecc. ecc.) di paralizzare l'agone politico impedendo vera competizione. La speranza è che i politici si rendano conto che non sono solo i dipendenti pubblici di 50 anni o gli evasori fiscali a votare.

Stefano said...

Ma siamo sicuri che nessuna forza politica vuole "lo shock"?

si.

hai ragione quando dici che sì, ora l'elettorato è cambiato. Ora ha compreso che è necessario fare sacrifici. Purchè li facciano gli altri.